In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Questo piccolo e simpatico animale deve la sua notorietà alle spine che lo rivestono e che lo proteggono, così come si chiama pure riccio il rivestimento delle castagne e riccio, quell’echinoderma (pelle spinosa) marino che buca i piedi fra gli scogli e, dialettalmente, ogni testa che abbia i capelli folti e fitti.
Andando a caccia sul Serchio a volte si sentivano i cani guaire di dolore nell’abbaiare di rabbia dentro macchioni di rovi, mentre cercavano di agguantare inutilmente un piccolo riccio chiuso a palla che eccitava il loro naso con il suo odore e martorizzava la bocca con le spine erette dalla paura. Nelle vecchie credenze popolari di animali utili, meno utili, simpatici e antipatici, il riccio godeva fama di assassino per la sua abitudine di infilarsi, di notte, sotto ogni cosa, cassette, mucchi di legna o fieno, alla ricerca nel tempo ideale per le sue battute di caccia, di vermi, scarafaggi, bachi in genere, che lo spingeva ad entrare nei pollai, o addirittura nelle ceste dove covavano le galline o in quelle di vimini che, messe capovolte, tenevano raccolte chiocce e pulcini. La mattina, quando la massaia andava a cavà l’ova e trovava il presunto ladro e assassino che forse avrebbe bevuto volentieri un ovetto fresco, il riccio pagava con la vita la sua curiosità, massacrato a botte e legnate, mentre le urla delle donne spargevano in giro le sue malefatte.
Un noto zoologo inglese de 1800, in un libricino: “Guida del giovane naturalista”, scrive che “il riccio spaventato dai cani, volpi o altri animali carnivori, fugge velocemente arrampicandosi sugli alberi”. (?)
Ora che la vita degli animali è senza segreti per tutti, dopo le enciclopedie vendute e svendute e i documentari naturalistici televisivi, nessuno vede più come nocivo, anzi il contrario, il piccolo riccio che sarebbe facilmente addomesticabile se valesse qualcosa vedere un animale selvatico comandato e mendicante un po’ di cibo dalle tue mani. Il riccio, chiamato a volte ricciolo, un tempo veniva consumato cotto ed è, a dire il vero, molto buono. Fa un po’ tanto ribrezzo il modo di prepararlo che consiste nel gettarlo vivo in una pentola di acqua bollente per facilitarne la spellatura poi, dopo una lunga frollatura in acqua e aceto, può essere cucinato in umido alla cacciatora.
Chi cucinava così i ricci era Dante, il padre di Moreno, quello che gestiva il distributore della FINA vicino all’autostrada e dove io andavo a lavorare per mantenermi le spese. Una notte, con la Seicento, chiuso il servizio, andammo a cercare ricci lungo l’Aurelia e le strade di bonifica; avvistatone uno bastò scendere. prenderlo cautamente e metterlo in macchina. Arrivammo casa che era troppo tardi per cercare un posto dove sistemare il riccio e così fu lasciato in giro per l’auto. Il giorno dopo tutto Migliarino sentì l’urlo dell’Antonella, la moglie di Moreno, che sedutasi in macchina vicino al marito per andare dal dottore, era di sette mesi, si sentì camminare sui piedi ed annusare da un mostricciattolo che poi, in casa, dissero che ce lo avevo messo io!
Io ora ho un riccio che vive nel mio guardino, credo della siepe di recinzione, e che viene la notte, quando i gatti sono a dormire, a mangiare nelle loro ciotole e che si lascia prendere e carezzare a tal punto che abbassa completamente gli aculei tanto da farli sembrare una vera pelle, senza un’ombra di paura e con il mio piacere di sentirlo amico.
Riccio: sai cosa noi umani diciamo a proposito di voi animali?
“Sei furbo come una volpe, svelto come una lepre, scivoli come un’anguilla, ci vedi come una lince, mangi come un lupo eccetera eccetera, e ascoltami ora: si dice (o meglio si diceva) anche: “scopi come un riccio”!
Devi essere veramente arrapato come nessun altro per poggiare la tenera glabra pancina sulla irta schiena della compagna e spingere spingere su quell’ammasso di spine fino ad arrivare a quel qualcosa di tenero.
Buon lavoro amico!