In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Per fare un bel tema ci vuole un bel cappello, come dicevano sempre i due più cari, temuti, amati odiati, precettori del Comune: Suor Pia e il maestro Di Sacco, due impareggiabili e insostituibili figure di insegnanti, divisi dalla geografia e dalla politica, ma uniti da decenni di insegnamento, patte comprese, a ragazzi di ogni tipo.
Nella dedica di questa raccolta di dimenticate parole, ho accennato all'amore per "la tua terra" inculcatomi dai miei nonni materni e da mia madre che, guarda caso, non erano neanche di questi paesi e neanche di questa nazione.
L'amore datomi ed insegnatomi non era quello proprio della TERRA intesa come patria, quello che spingeva i fratelli Bandiera, Silvio Pellico ed Enrico Toti ad immolarsi, ma piuttosto quello per il pianeta TERRA, nella sua porzione di luogo natio.
Ora non ci sono più guerre di liberazione, almeno in Italia, non lottiamo più per la patria e chi va in trasferta, facendo forse anche debiti, in Olanda per seguire la Nazionale, non è certo più amante della propria terra di altri.
Neanche chi si rifugia, dopo aver comprato un bel sovrapposto od un automatico, nuovi simboli di un prestigio passato, dietro ad una sigla C.P.A., dove quell'A sta per ambiente e quindi TERRA, è più amante di questa se poi se ne va' in giro caando qua e là buste, bustine, barattoli, bozzoli e trugolai.
I veri amanti dell'ambiente non sono quelli che partono da casa con i sacchetti di plastica da riempire di pomodori, cavoli e frutta, ma i vecchi cacciatori che, svegliati dal cane che ha voglia più di loro di scorrazzare per i campi, escono presto di casa, incartando due fette di pane con la mortadella in un foglio che poi ti servirà in una fossa, perchè non c'è niente di più bello che farla all'aperto, quelli che sparano ad un branchetto di storni cercando di ingannare il capo che sta di vedetta sulla canna più alta della filata, pronto ad annunciare la venuta del nemico e, contenti, raccolgono i tre o quattro morti per un arrosto diverso dalla "fettina tutta acqua".
I veri amanti della "tua terra" sono quelli che fermano l’auto davanti ad una cannella pubblica lasciata irresponsabilmente aperta, rischiando di far tardi ad un appuntamento, per far smettere quello spreco d'acqua; sono quelli che vanno a far funghi e lasciano da cogliere due morecci perchè non hanno più posto nel cestino, anziché abbandonare, per far spazio, la bottiglia e non quegli pseudo-ecologi che mettono il sacchettino di plastica con i rifiuti agganciato ad un rametto in alto.
Gli amanti della propria terra non sono i campanilisti che si picchiano la domenica al dopo partita in nome del paese, non sono quelli che tagliano le gomme ai cercatori di funghi di altri luoghi in nome dei mancati guadagni; non sono neanche gli amministratori dei Comuni che vietano il passaggio di chilometri di asfalto di superstrada per "l'impatto ambientale" che ne deriverebbe al loro Comune, solo perchè la partenza di quella strada era venuta da gente di un altro colore, lasciando così morire un bene incerto e facendo nascere davvero un sicuro "impatto ambientale".
Non c'è amore per "la tua terra" negli assessori dei Comuni che puliscono le fosse dopo le alluvioni, illuminano le strade prima delle elezioni, ma piuttosto in quelli che ripiantano, nei filari di memoria storica o affettiva, gli alberi abbattuti da malattie o raffiche di vento.
Gli amanti della "tua terra" sono quelli che pagano le tasse, giuste e ingiuste, con la speranza (ma cosa dico! la certezza!) che i contributi vadano ad opere pubbliche, sono quelli che mettono la cingomma troppo masticata in un fogliettino e poi nel cestino, sono quelli che passano nelle strade di Bonifica e son contenti che ci siano buche e mota, dove se non li?; son quelli che spengono il motore aspettando la moglie che è scesa per comprare qualcosa oppure che il treno passi al passaggio a livello; son quelli che vanno al bar in bicicletta, attraversano a Bocca di Serchio in barca a remi, urlano alle partite di giorno, ma non alle finestre di notte, dividono il vetro dal resto dei rifiuti domestici, fino ai più veri di tutti che sono quelli che insegnano agli altri a farlo, ai figli, agli amici, ai superiori.
Noi abbiamo la fortuna (alcuni diranno disgrazia ma tante teste tanti cervelli) di avere un parco e, anche se il parco dovrebbe essere nato per amore e rispetto della TERRA, certo la maniera di conduzione della sorveglianza non esprime questi sentimenti.
Non fraintendetemi, le guardie fanno il loro giusto lavoro, ma è proprio questo lavoro che non dovrebbe esserci, non si dovrebbe andare in giro a cercare piromani, bracconieri, lavativi, puttane, inquinatori, balordi e bastardi, non si dovrebbero buttare lavatrici, lavandini, materassi e calcinacci lungo i viali delle pinete di Migliarino o di Tombolo, non perchè ci sono le guardie a proibirlo, ma perchè è assurdo farlo!
Non vanno parcheggiate le auto sulla spiaggia, non per non pagare le multe, ma perchè ci sono altri appositi spazi, anche se più lontani e fa caldo.
Le guardie allora dovremmo essere noi stessi, di noi e degli altri, senza stipendio ma anche senza danni ai propri figli che riceveranno in eredità un bene inestimabile e con gli interessi.
Quindi il compito della sorveglianza, utopicamente, sarebbe inutile e andrebbe quindi indirizzato ad altre mansioni, fino al punto di vivere "nel tuo parco" come "nella tua TERRA".
E come un ambiente particolare, un paese natale, un interesse nazionale, un qualcosa di speciale, anche il dialetto fa parte della "tua terra" e a questo va dedicato altrettanto amore.
Recentemente sono andato a Venezia e nei negozi e nelle strade non c'era nessuno che chiedesse mercanzie o notizie in italiano, tutti parlavano in dialetto e convinti e contenti di farlo.
Perchè poi noi dovremmo esser trattati (e trattarci a nostra volta) da ghiozzi se andiamo alla bottega e si chiede: mezzo 'ilo di gallonzeri anziché: cinquecento grammi di cime di rapa e perchè non si deve chiedere un biglietto anda e rianda, un giro sur carcionculo, un paio di brae!
Dovremmo però essere pronti a passare dal dialetto alla lingua comune, come i sardi che vanno nel bosco, ammazzano "su sirboni" e vendono poi la carne del "cinghiale".
Noi..(i torredellaghesi) invece si va nel bosco, s'ammazza "ir cignale", e si mangia la carne "der cignale"; non siamo pronti (o non ce lo permettono) a fare del nostro dialetto la nostra lingua: troppo facile per gli altri credere che si usi solo un cattivo italiano al posto della parlata dei nostri vecchi e troppo difficile per noi la scelta di quello che è giusto e di quello che va "addomestiato".
Attenzione però a non fare come quella signora di Vecchiano che raccontava ad una amica di quando Gari Cupe, nel film "Per chi suona la campana", aveva acceso la CIUCA per far scoppiare la bomba.
MICCIA era da ghiozzi!