In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
ACCORDI E DISACCORDI.
Sono d’accordo con Iuri Maria Prado che, in un dibattito con Filippo Piperno, considera fuffa le argomentazioni di Amnesty International nel sostenere la tesi del genocidio di Israele nei confronti dei palestinesi.
Basti pensare che il rapporto di Amnesty inizia facendo riferimento al 7 ottobre senza neanche citare la strage di Hamas, ma indicando quella data solo come inizio del presunto genocidio del popolo di Gaza da parte di Israele.
Una follia o più semplicemente un negazionismo prossimo a quello filonazista di ritorno.
Non mi soffermo sulla contabilità dei morti, i numeri diffusi da Hamas sono stati contestati efficacemente in altre sedi. Né sul fatto che, contemporaneamente al processo in corso contro Netanyahu e Gallant presso la Corte penale internazionale, siano stati diffusi rapporti a conclusioni precostituite, come quello di Amnesty, che sono tesi a condizionare l’opinione pubblica e a fare pressione sui giudici.
Sono anche d’accordo sul fatto che accusare di genocidio Israele non serve ai terroristi solo per compromettere l’immagine attuale di Israele, ma anche ad appannare il ricordo del genocidio vero, a nascondere la Shoah facendola passare come una sorta di giustizia preventiva nei confronti di un popolo comunque colpevole, nel passato e per il futuro. Ecco perché l’attuale accusa di genocidio, oltre che essere giuridicamente infondata, ha in sé una forte radice antisemita.
Dice Prado“Hamas e Sinwar hanno preparato il campo di battaglia, hanno voluto attaccare Israele pensando di distruggere Israele con una azione che passava per la distruzione di Gaza”
E Piperno aggiunge che Sinwar dice “gli israeliani sono esattamente li dove volevamo che fossero (…)la sproporzione della risposta di Israele era esattamente nei piani di Hamas (…)Il successo mediatico di Hamas è un successo a tutto tondo presso l’opinione pubblica mondiale e sfocia nel mandato d’arresto per Netanyahu”.
Dunque se riconosciamo, con Prado e Piperno, che la strage del 7 ottobre era stata progettata con cura secondo un disegno politico dell’Iran eseguito da Hamas e che entrambi hanno fatto di tutto per portare Israele al punto di scontro a cui si è arrivati, la domanda che mi pongo è perché mai Israele, cosciente di questo disegno, ha accettato di accedervi sapendo che questo gli sarebbe politicamente costato un prezzo altissimo?
Non ho la pretesa di sostituirmi a Netanyahu, né quella di esprimere un parere più significativo di quello di un cittadino israeliano, ma mi domando, avendo a cuore l’esistenza di Israele e volendolo vedere sicuro, prospero e in pace con tutti i suoi vicini, se la risposta attuata non sia stata, da un certo punto in avanti, una sproporzione che era esattamente quello che i nemici di Israele volevano.
La trappola dell’Iran e dei terroristi di far apparire le vittime come i colpevoli purtroppo è scattata con l’insorgere e il diffondersi di un nuovo antisemitismo e sancito perfino dall’accusa della Corte penale internazionale.
Che non è una sentenza, ma che ha segnato la parte meno attrezzata dell’opinione pubblica mondiale. E Israele ha bisogno più che mai della solidarietà dell’opinione pubblica mondiale, oltre che dei governi.
Perché? Qui la mia opinione diverge da quella di Iuri Maria Prado, che su questo punto non si pone la domanda e non da una risposta.
Non l’ho neanche io una spiegazione, se non quella che il prolungamento delle operazioni militari su Gaza, una volta decapitata e decimata Hamas (il governo israeliano parla di 20mila miliziani uccisi), serva solo a mantenere in vita un governo della destra integralista, peraltro contrario alla soluzione dei due Stati, che verosimilmente non rimarrebbe in vita più a lungo.
Lo vediamo nella ripresa delle manifestazioni antigovernative, sia per la liberazione degli ostaggi, mai ritenuta prioritaria da Netanyahu, sia in occasione del processo per corruzione. Una dimostrazione della effettiva solidità della democrazia dello Stato di Israele.
Dopo la Siria c’è da sperare che Israele faccia tesoro del cambio di paradigma che sembra profilarsi in Medioriente.
Tutto è ancora indecifrabile e appare essere aperto a sbocchi diversi. Ma la possibilità di riaprire un dialogo col mondo arabo – sunnita e far crollare il regime iraniano può portare alla sconfitta definitiva del terrorismo e portare sicurezza e pace ad Israele.
Ma se il problema dominante fosse invece quello della sopravvivenza politica di Netanyahu e della destra oltranzista israeliana ci sarebbe poco da sperare.