Mi torna in mente la poesia del Pascoli che la mia mamma recitava con voce dolce, enigmatica, evocativa, partecipe, ma anche solenne. Mi pare di risentirla.
Per i miei bambini ho sempre celebrato la festa più bella dell'anno dedicata all'infanzia, quella che più di tutte appartiene alla nostra cultura.
Creavo L'ATTESA , lunga, trepidante.
Autocrazie tecnologiche e democrazie a rischio
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 04 gennaio 2025
Abbiamo alle spalle un anno nel quale, almeno in teoria, la democrazia ha raggiunto il suo massimo sviluppo. Sono stati infatti chiamati alle urne elettori appartenenti a paesi che, in totale, raggiungono i quattro miliardi di abitanti: in sostanza la metà del genere umano.
Se però esaminiamo a fondo questo fenomeno così esteso, ci troviamo di fronte a situazioni che, anziché offrirci un conforto sullo stato della democrazia nel mondo, non fanno che aumentare i punti interrogativi sulla sua salute.
Ci sono state elezioni nelle quali sono sparite le schede, altre che si sono concluse con la dubbia maggioranza del 99%, fino al caso della Romania dove la Corte Costituzionale ha annullato le elezioni presidenziali per sospette ingerenze russe. È il caso, sempre più frequente, di democrazie progressivamente inquinate dalle nuove tecnologie, a volte perfino gestite da potenze straniere.
A questo si aggiunge il comune lamento per il crescente costo delle campagne elettorali, fino ad ammettere che, nelle urne, il denaro conta spesso più delle persone. Anche in questo caso, come sta accadendo in ogni processo della storia, all’avanguardia troviamo gli Stati Uniti dove, sommate tutte le spese, si calcola che la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, sia costata oltre 16 miliardi di dollari. Una somma impressionante, risultato di una nobile gara all’ultimo dollaro fra repubblicani e democratici. Si aggiunge spesso il pesante ruolo dei militari o di altre strutture autoritarie che, in molti paesi che si dicono democratici, controllano la vita e il voto di ogni cittadino.
Senza addentrarci nell’esaminare se e come questo cumulo di elezioni abbia cambiato il panorama politico mondiale (dagli Stati Uniti all’India) è opportuno soffermarci sulle evoluzioni in corso nei paesi a noi più vicini.
La prima caratteristica è il progressivo incessante aumento dell’astensionismo, sia nelle elezioni dei singoli paesi che in quelle europee. Una presa di distanza dal voto come segno di sfiducia nello Stato e in tutte le istituzioni pubbliche. Distanza che, esprimendosi con particolare rilevanza nelle giovani generazioni, non lascia bene sperare per il futuro.
Tutto questo nonostante il continuo aumento del numero dei partiti che partecipano alle contese elettorali. La crescente ampiezza della scelta non spinge infatti al voto, ma ne allontana i cittadini anche perché essa provoca una crescente difficoltà nella formazione dei governi e, di conseguenza, una minore capacità di decisione da parte dei governi.
L’aumento del numero dei partiti, lasciata per sempre alle spalle in tutti i paesi europei (esclusa la Gran Bretagna) la prospettiva di un governo monocolore, porta alla formazione di coalizioni sempre più disomogenee, quindi incapaci di costruire una politica coerente e comprensibile. Il sistema democratico finisce quindi con l’essere ritenuto tanto debole quanto lontano dai cittadini.
In conseguenza di questa evoluzione (come rileva il Financial Times) tutti i leader al potere nei dodici paesi occidentali che, nello scorso anno, sono passati attraverso una contesa elettorale, hanno perso voti. Se poi allarghiamo l’orizzonte, la stessa diminuzione di consensi ha colpito anche la coalizione che sostiene la Presidente della Commissione Europea e i leader dell’India e del Giappone.
I voti perduti sono andati ad aumentare le frange estreme e tendenzialmente autoritarie, con particolare evidenza verso le destre, ma con un parallelo desiderio di autoritarismo da parte della sinistra. Entrambi gli estremismi tendono infatti ad assumere caratteristiche simili, con una linea di dura opposizione nei confronti dell’establishment e degli immigrati, anche nei casi in cui il sistema economico ne richiede insistentemente l’arrivo.
Risulta singolare dover constatare che questi comportamenti sono sostanzialmente simili in tutti i paesi, con una certa indifferenza nei confronti dei risultati e del grado di approvazione del governo e, soprattutto con un legame molto meno stretto nei confronti dell’andamento dell’economia del paese.
L’antica correlazione fra risultati economici e risultati elettorali, così popolarmente messa in rilievo da Clinton (It is the economy, stupid), è diventata più debole, mentre aumenta, fino ad essere determinante, il potere dei nuovi media, abitualmente usati senza tener conto delle regole democratiche. Se consideriamo il modo con cui intervengono nelle campagne elettorali, siamo costretti a convenire sul fatto che questi nuovi poteri trattano il cittadino non come un attore ma come un oggetto.
Ci troviamo di fronte a una crescente alleanza fra potere politico, potere economico e potere dei nuovi media, un’alleanza che tende persino a oltrepassare i confini nazionali. Trump e Musk irridono sulla reale indipendenza del Canada, intervengono direttamente sulle scelte politiche dei cittadini tedeschi, e non solo tedeschi, con un potere che non rispetta la stessa sovranità degli Stati e quindi le regole della democrazia degli Stati stessi. Per non ricordare ancora il caso della Romania.
La globalizzazione economica, messa sotto processo, viene progressivamente sostituita dalla globalizzazione politica, sostenuta da un autoritarismo tecnologico che nasconde l’aspetto autoritario sotto l’ala di un affascinante progresso rivolto a trasformare il futuro.
Tutto questo non avviene per caso, ma è il naturale effetto del vuoto di partecipazione che sta progressivamente indebolendo tutti i sistemi democratici che possono essere rinvigoriti solo se si ritorna all’antico concetto che democrazia è partecipazione. Altri rimedi oggi non esistono.