Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
Al tappeto - I riformisti dovrebbero guidare l’agenda progressista, ma l’ex Terzo Polo non batte un colpo
Italia Viva, Azione e Più Europa sembrano storditi dalla tecno-destra trumpiana tanto quanto la sinistra. Manca una leadership forte, è vero, ma forse mancano anche una chiara linea politica e un’idea di cosa fare in futuro
L’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca ha chiaramente stordito la sinistra mondiale, e quella italiana, lo abbiamo notato qui il 23 gennaio, non fa difetto. Che la tecno-destra abbia messo in crisi molti dei fondamentali della nuova sinistra, dalle espressioni più radicali della cultura woke alle estremizzazioni ambientaliste e anti-industrialiste, è sotto gli occhi di tutti.
Mentre la sinistra tace o parla d’altro, qualcosa stanno dicendo i riformisti del Partito democratico o vicini al Partito democratico, da Paolo Gentiloni, che su Repubblica è entrato nel merito del tema della sicurezza europea, a Walter Veltroni, che sul Corriere della Sera ha messo in fila alcuni punti: «Il tema della sicurezza personale, il governo dei flussi migratori, il superamento del politicamente corretto come recinto asfissiante, la riforma delle istituzioni per renderle più funzionanti devono essere parte di un programma che contenga la difesa e la conquista di nuovi diritti, a partire da quelli sociali, dalla valorizzazione della formazione, del sapere, del pluralismo, la difesa del multilateralismo».
I cattolici dem hanno detto alcune cose a Milano, Libertà Eguale altre cose a Orvieto. Sono stati appuntamenti letti solo in chiave politicista mentre c’erano riflessioni serie. Poco e niente invece viene dall’ex Terzo polo, del quale bisogna annotare una perdurante liquidità politica, una presenza priva di un chiaro senso di marcia. A circa due anni dal fallimento politico qual è il bilancio dei tentativi di rianimare il Terzo Polo? Facile: se non fallimentare, largamente insufficiente. La cosa paradossale è che proprio l’area riformista più moderna avrebbe o dovrebbe avere le risorse intellettuali più adatte a contribuire a una nuova agenda progressista alternativa al dominio della nuova tecno-destra. Così come è bizzarro che quanto più sembra crescere una domanda per un qualcosa di nuovo nella terra di mezzo tra centrodestra e centrosinistra tanto più annaspano le iniziative alla bisogna.
Quindi delle due l’una: o quella domanda è solo un effetto ottico indotto dai media o l’incapacità delle persone che dovrebbero raccoglierla è davvero sconfortante. È sembrato propendere per la seconda ipotesi Giovanni Diamanti, attento osservatore della politica, parlando con Massimiliano Coccia su Linkiesta: «Il Terzo Polo ottenne un risultato importante ma aveva un limite chiaro fin da subito: troppi leader per uno spazio politico troppo limitato. Serve qualcosa di nuovo, una lista civica nazionale, o anche una federazione, che però deve essere in grado di parlare con una sola voce e di evidenziare chiari elementi di novità, a partire dalla leadership».
Il problema dunque – è difficile disconoscerlo – è quello della costruzione di una leadership e di un forte gruppo dirigente attorno a una chiara linea politica che sciolga una volta per tutte la questione del rapporto con il centrosinistra. A questo punto va detto che il problema trascende le figure di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Possibile che nessuno riesca: a) a rimetterli insieme; b) a sostenere uno a scapito dell’altro; c) a sostituirli entrambi? Eppure i tentativi non sono mancati e l’elenco di personalità impegnate in una operazione post-Terzo polo è abbastanza corposo. Pure troppo.
A novembre c’era stata una iniziativa a Milano molto volenterosa, “Il coraggio di partire”: il coraggio l’avranno pure avuto ma non sembrano essere partiti. Eppure Luigi Marattin, Andrea Marcucci e Alessandro Tommasi, leader di Orizzonti Liberali, Libdem e Nos, avevano lanciato un percorso federativo per arrivare a un tesseramento unico con la prospettiva di dare vita a un soggetto unitario dell’area liberaldemocratica. Che fine ha fatto tutto questo? Non si sa. Tantomeno si è capito se e quale debba essere il rapporto tra i “coraggiosi”, Italia Viva e Azione e caso mai con i socialisti e Più Europa.
Non la facciamo più lunga di così perché il rischio della noia è lì a un passo, però sembra di essere dentro un’antichissima maledizione di quelli che una volta si chiamavano i partiti laici, pieni di gente seria e buoni propositi ma assolutamente inconcludenti dal punto di vista politico. Solo che adesso la storia non aspetta personalismi e ripicche: va molto più veloce degli ex terzopolisti, non più rialzatisi dal tappeto su cui erano crollati alle ultime elezioni di due anni fa.