Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
Il titolo è un saluto arabo e significa: La pace sia con te
Yalla Yalla habibi … ve lo dirò dopo!
Nuovo lavoro per una nuova città, la mitica capitale della Siria ma, anche se le previsioni geopolitiche la davano già 50 anni fa un posto non sicuro, il “made in Italy” doveva farsi sentire.
Dall’aeroporto di Fiumicino il volo Roma Damasco parte regolarmente ma, arrivati allo scalo di Beirut, ci viene detto che la linea aerea che avrebbe dovuto portarci a destinazione non voleva rischiare di perdere un altro velivolo dopo il bombardamento che aveva distrutto l’aeroporto di quella città. Restava un collegamento con un pullman che sarebbe però stato in grado di partire il giorno dopo. Una notte in un albergo sul lungomare con musiche arabe sotto le finestre nei bar della famosa Corniche ci ripagò del fastidio, però rinato aumentato la mattina dopo quando salimmo a bordo di uno scassatissimo carrozzone con il quale avremmo traversato montagne e vallate per 180 chilometri.
Una sosta al confine e un primo assaggio del mondo arabo.
Vicino alle caprette che segnavano l’ingresso in Siria c’erano decine di arabi con tonache scure grandissime che aprivano e chiudevano velocemente facendo vedere pacchi e pacchetti di ogni tipo di valute da cambiare con un fortissimo sconto sulla nostra moneta.
La “banca” ambulante, finiti i contrattamenti, chiuse gli sportelli e noi ripartimmo. Arrivati a Damasco un nuovo mondo mi si aprì agli occhi: venditori ambulanti con carretti pieni di ogni tipo di verdure o varie mercanzie, altri che vendevano acqua da bere, ovviamente nella stessa ciotola di latta, donne che portavano sul capo ceste di non so di cosa, simil-taxi che andavano in su e giù per caricare gente da portare in qua e là, cilindri di carne che ruotavano vicino ad una fiamma e venivano tagliati a strisce e gli ossi gettati, in strada (i veri kebab si fanno con carne di capra o montone ossi compresi) e una moltitudine di persone con abiti lontani dalla nostra visione del vestire, specialmente le donne con lunghe tuniche nere dalla testa ai piedi e la faccia seminascosta.
Un ragazzino mi fece sorridere per il divertimento che offriva ai passanti su un marciapiede: aveva una carabina ad aria compressa, simile alle nostre “Diana” che venivano regalate a noi ragazzi per la promozione alle scuole medie, lui offriva il divertimento di sparare a una lampadina, credo bruciata, in cambio di un soldino!
Andavo nella moschea a piedi nudi, mi lavavo le mani con il sapone per entrare nei locali da ballo, ma non per ballare: era proibito, ma per vedere le danze del ventre dove si esibivano meravigliose bionde e clienti con vesti bianchissime e un cordoncino bianco e rosso come fermava velo sulla testa, tipo sceicco, che mandavano un accompagnatore a mettere un pugno di banconote negli slip della ballerina, guarda caso sempre bionda. Uno di questi locali era proprio al piano di sotto di dove avevo la camera ed era ovvio che se non potevo dormire almeno vivevo il loro mondo. Mi ricordo di una ballerina che faceva ruotare il seno destro a sinistra e quello sinistro a destra! Accettavo senza timore gli inviti dei rappresentanti, arabi, delle merci che sarebbero state esposte in fiera e uno di questi mi regalò un Corano in un bauletto intarsiato che aveva vinto un premio in Francia e che custodisco gelosamente.
Nel nostro padiglione c’era un caldo asfissiante e noi lavoravamo con calzoni corti e magliette e non avevamo altri contatti con i locali, intendo donne, se non con la figlia di un nostro operaio siriano che veniva a portare il pranzo al padre e al fratello ingaggiati per la bisogna ed acqua fresca a noi. La ragazza si chiamava Fatma era giovanissima e aveva due occhi nerissimi e una bocca rossissima, perché avrebbe dovuto nascondere quella bellezza? Un giorno ero sdraiato sul soffitto per far l’impianto elettrico e avevo messo una scala allo sportello di accesso. La ragazza salì per portarmi una bottiglia d’acqua (quasi 50 gradi sotto il tetto di metallo!) ed arrivò a testa in su alla botola dove io stavo a testa in giù e non fu voluto un bacio rubato ma dovuto.
”Yalla yalla habibi” mi sussurrò, e quando chiesi all’interprete italoarabo cosa significassero quelle parole sentite per caso in città, ci fu una risata di tutti gli operai che erano lì vicino e avevano sentito e che mi affibbiarono come soprannome per tutta la durata dei lavori.
La storia con Fatma, eran solo fugaci baci sempre nascosti, non cominciò, ma finì dopo che il fratello si allontanò dal lavoro per un paio di giorni e al ritorno confessò di essere andato in un paese vicino a vendicare un amico ucciso.
"Yalla yalla habibi" significava "Dai dai amore mio", diceva Fatma, e io mi dissi "Yalla yalla Umberto mio"!
Ricordare cose lontane che ti hanno fatto piacere è allungare la Vita!