Un esperienza di crescita di gruppo famiglia grazie a due meravigliosi cucciolotti.
RAFEE, figlia di una galga spagnola abbandonata incinta, salvata da un associazione .Tutti i cuccioli sono stati adottati.
UGO meticcio di una cucciolata abbandonata. Saputo successivamente che insieme ai fratellini è stato protagonista di un servizio TV sui cani abbandonati..
Vuoi andare in Tanganica?
Era quello che volevo e allora via per la fiera nella capitale Dar el Salaam. Dopo l’esperienza in Kenya mi sentivo pronto per tornare in Africa.
Per i lettori che hanno seguito su questa sezione i miei lavori all’estero, nel primo: Rimembranze, devo correggere la città che ho scritto fosse Dar el Salaam, invece era Lorenzo Marquez in Mozambico, mi scuso.
La solita bella accoglienza e la solita manovalanza indigena, stesse etnie, stessa lingua, mi sentivo quasi a casa. Una fiera che andava avanti benissimo, un autista che parlava inglese e che mi scorrazzava in giro, un club di italiani che avevano, quasi tutti, piantagioni di caffè e mangiavano però ad un ristorantino, tipo Club italiano, vicino alla fiera e alla foce di un fiume.
Tutto come se fosse “casa nostra”, ma la “famiglia“ non era quella giusta!
Mi riferisco al modo con cui trattavano la servitù con offese, parolacce e un disprezzo malcelato. Il cameriere era un vecchio nero con una meravigliosa testa bianca e serviva lentamente rispondendo alle domande con la stessa parola ripetuta tre o quattro volte che a noi faceva ridere ma urtava gli altri. Ciande cosa si mangia oggi? “minestra minestra minestra”, ma gli spaghetti ci sono? “spaghetti, spaghetti spaghetti”! Io lo salutavo con un abbraccio che lo faceva tremare e piangere incurante degli sguardi “assassini” degli altri avventori.
A questo proposito devo dire che anche le donne non erano da meno ed ecco un esempio che rivedo vivido il ogni particolare.
Il sabato pagavamo gli operai e non c’era sabato che la felicità non esplodesse con: “Pombe, pombe” e urli di gioia. Chiedo cosa fosse questo pombe e scopro che è un “qualcosa” da bere e scatta la domanda: “posso venire con voi?”
Non molto lontano c’era un villaggio, chiamiamolo così, dove fui accolto in una maniera sospettosa strana ma amorevole dal capo villaggio. Su un lato dello spazio, da non confondersi con piazza, c’era un enorme “pentolone” dove bolliva fermentava aspettava profumava un miscuglio di erbe frutti e boh. Con un ramaiolone veniva preso un po’ del liquido che era alla superficie e dato, a pagamento, agli assetati. Non sapevo quanto costasse una bevuta, va detto ma lo avrete capito, che il ciotolino passava da una bocca ad un’altra e io diedi una manciata di monetine al dispensiere, tante che ci avrei potuto fare il bagno!
Saluti e a casa!
Riprendo dal club e dagli avventori. Avevo conosciuto una coppia di italiani, lui anziano ed era il concessionario per l’Alfa Romeo nel Centrafrica e lei una piacevole donna di mezza età che mi faceva un filo da ragazzina e mi diede un appuntamento per la mattina dopo l’assaggio del suddetto liquore! Arrivò tutta pimpante e dopo i saluti le dissi che la sera precedente avevo bevuto il pombe dove lo facevano. Ebbene, figuratevi una donna che trova un biacco nel letto, lei fece un salto in aria e se ne andò sgommando!
Non mi ha più rivolto la parola.
La vendetta del pro-neri!
Una domenica, dato che i lavori stavano marciando veloci, mi feci prestare l’auto dal gestore dell’albergo dove dormivamo e volli avventurami nell’interno. La solita strada polverosa, una sosta per una foto e un tamburare con contorno di fischietti da arbitro mi attira. Era un matrimonio con un codazzo di gente colorata e festante ed io apro il finestrino e prendo la macchina fotografica… ma qualcosa andò storto. Decine di persone, marito in testa, circondarono l’auto scuotendola e urlando cose che non capivo, tranne “scillinghi scirini” (venti scellini).
Al finestrino avevo la testa di un bambino e abbassai il vetro per cercar di capire: mi rispose in francese che aveva imparato alla scuola missionaria e mi disse che dovevo pagare “il riscatto” perché questa tribù all’antica crede che la macchina fotografica catturi lo spirito della persona, perché è impossibile che essa si ritrovi impressa su un foglio! Da ormai esperto nelle trattative commerciali risposi in suahili “apana scirini, mbili tatu” (no venti, quindici) dicendolo e pentendomi di averlo detto! Poi aggiunsi: “kazi saba saba”, saba saba significava sette sette, cioè il sette di luglio, giorno dell’indipendenza del Tanganica, oggi Tanzania. Queste parole misero tutti a dire cosa non capivo, ma dai gesti e dallo scambio di strette di mano la situazione era rovesciata.
Abbracci e saluti, io per il loro matrimonio con 200 scellini di regalo e loro a me per il lavoro che stavo facendo per loro.
Arrivato a casa raccontai al padrone dell’auto quel che mi era successo e non credette ad una parola se non quando vide sulla carrozzeria segni di decine di “manate”!
Una imponente inaugurazione, un saluto dalle autorità con la banda e balli tribali e arriva l’ordine di fare sosta a Nairobi per aiutare a smantellare il nostro padiglione della fiera terminata.
Arrivati nella zona di lavoro, era passato un anno dalla mia prima esperienza, chiesi se ci fosse mano d’opera locale e se c’era un masai. Mi fu risposto di sì e al mio urlo: ”Kazi minghi” fece eco un patatrac di roba che cadeva e rotolava e Inania mi corse incontro a braccia aperte, sembrava che facessimo come Lui e Lei, tipo Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, nei film polpettoni, ma seguitissimi, nelle ultime scene. (non siate maligni, la gioia può essere anche senza sesso).
Nota 1: a quel tempo uno scellino tanzaniano valeva una lira e qualche centesimo, quindi ero poco importante se per il riscatto chiesero solamente 21 lire!
Nota 2: le parole in suahili sono scritte come si pronunciano, ma con pochissime differenze fra scritto e detto.