Un esperienza di crescita di gruppo famiglia grazie a due meravigliosi cucciolotti.
RAFEE, figlia di una galga spagnola abbandonata incinta, salvata da un associazione .Tutti i cuccioli sono stati adottati.
UGO meticcio di una cucciolata abbandonata. Saputo successivamente che insieme ai fratellini è stato protagonista di un servizio TV sui cani abbandonati..
Una premessa: avevo già detto che vado a ricordo più o meno nitido, ma sempre originale, non rispettando la cronologia tanto che questo è antecedente al precedente che riguardava il Messico.
Mi sento tanto Cristoforo Colombo (perdonatemela) quando sbarcò nel paese sudamericano al quale tantissimi anni dopo fu dato il nome di Colombia. Bellissimo paese, l’unico che ha le coste su due mari: l’Oceano pacifico e il Mar dei sargassi, con montagne e altipiani che lo dividono in una piccola zona costiera sul mare ed enormi distese di pianura verso il Venezuela.
La capitale che ci doveva accogliere per la Fiera internazionale, Bogotá, è situata su una catena montuosa di circa 3.000 metri, altezza che crea un leggero fastidio iniziale.
Eravamo stati “distribuiti” in case private e a me toccò una famiglia molto piacevole: un padre calmo e taciturno, una bellissima moglie, Estela, due figlie (Amaja la minore fidanzata e l’altra, Dolores, libera) e Liz che mi saltò al collo abbracciandomi stretto stretto e baciandomi quasi con la lingua, due occhi aperti e lucenti, una capigliatura riccia e biondastra, tanto da farmi preoccupare, ma destando risate da parte delle altre tre femmine di casa!
Liz era un uistitì, una piccolissima scimmia del Sudamerica e che si innamorò di me e io di lei, il vero amore a prima vista!
La sera, per festeggiare la mia venuta, i tre giovani organizzarono un’uscita per locali, offrendomi anche una privata scuola di spagnolo: i numeri, i giorni della settimana, i saluti e via via. Al ragazzo venne in mente di farmi dire una parola a voce alta: cogno, era facile “cogno”, qualcuno si gira e guarda, più forte chiedono i tre sciagurati ed io, scemo, 5 lettere anche quella, COGNO e gli avventori ridono e si avvicinano con facce strane. Sono intelligente?, gioco con le parole?, allora dovevo capire che la loro lingua si avvicina alla nostra e una parola di 5 lettere che comincia per C e finisce con O, ce l’abbiamo anche noi e anche un’altra di 4 che dissi loro di andarci!
Il gruppo ormai era fatto e allora, dopo qualche giorno, via in un altro locale dove si ballava, cantava e socializzava, ingresso gratuito ma consumazione obbligatoria, questo lo scoprii dopo. Mi sembrò strana la fermata in un negozio di liquori e l’acquisto di una bottiglia, cosa che capii poco dopo. Tutto filava liscio quando un paio di gestori si avvicinarono offendendo e pretendendo un risarcimento per aver cercato di ingannarli con il “contrabbando” di alcool! Il fidanzato di Amaja si accapigliò con quello più mingherlino dicendomi: “Umberto esto es tuyo” riferendosi a un bestione biondo che mi dice: “pero tenemos que golpear? No podemos hablar?” al che io rispondo “claro che si!” e finì tutto con una risata e una stretta di mano. Era uno svedese che era capitato in Colombia, aveva trovato il sole e l’amore e si adattava a tutti i lavori. Saputo cosa ci facevo io in questo paese, venne a trovarmi in fiera e ribevemmo ridendoci su!
La fiera era vicino a casa e non usavo taxi o autobus, passeggiavo una ventina di minuti. Mi avevano detto che la Colombia teneva il primato della criminalità e, almeno quella spicciola, la testai camminando e incontrando molti venditori di orologi e ninnoletti vari. Era tutta merce con cintolini e chiusure rotte, segno di furti e borseggi!
In fiera conobbi poi una famiglia italiana, comasca, che aveva interessi in molte industrie laniere e setiere che poi mi invitarono spesso a casa loro a cena e addirittura in una gita in “terra calda”, la zona verso il mare in un ambiente da giungla amazzonica con coccodrilli che ti attraversavano la strada lentamente e a volte si fermavano curiosi a guardare quel mostro che faceva così tanto chiasso. Dormii una notte in un’amaca, loro in tenda, e fu una notte incredibile, piena di strani rumori: fischi, schiocchi, sibili, borbottii e per finire in un incontro scontro con un’iguana che si era arrampicata fino alle corde dell’amaca e mi era venuta addosso soffiando, forse impaurita più di me. Mi venne in mente Liz, ma non abbracciai il lucertolone, lo scaraventai di sotto, senza far rumore pensando a quello che era successo alla partenza da Bogotá. Mentre caricavamo il fuoristrada, Edo si accorse che mancava uno specchietto retrovisore esterno e disse che dovevamo allungare un po’ il viaggio perché doveva andare in “un posto”. Il posto era un gruppo di case alla periferia della città e appena arrivati aprì il vetro dello sportello, tirò fuori una pistola e disse a quello che si era avvicinato curioso: “Tira fuori lo specchietto o ti ammazzo!” Ripartimmo con lo specchietto!
La destinazione era a circa 200 chilometri, Puerto Salgar, una piccola cittadina sul Rio Magdalena, acquitrini e lo spettacolo dei pescatori di “lenza” su pali infissi in acqua, quelli che si vedono ora nei documentari naturalisti. Le offerte di luoghi da sogno si accumulavano ed uno non mi doveva e poteva mancare: la cattedrale di sale di Zipaquirá, una straordinaria vera cattedrale scolpita e scavata in una montagna di salgemma, nella savana colombiana, una enorme caverna di 180 metri, con altari, statue (addirittura una inedita “creazione dell’uomo” di Leonardo) tutte di sale che poteva benissimo essere scambiato con il marmo.
Alla fiera si stavano finendo i lavori, a casa di Edo c’era un’aria diversa e Mariella, la moglie, mi disse che il marito era indispettito perché la loro bimba, di 5 anni, domandava sempre quando andassi a trovarla e quando ero lì non voleva staccarsi da me. Nell’area della fiera vi era un servizio di vigilanza a cavallo e anche lì feci amicizia con un poliziotto, bevevamo al bar interno, parlavamo di come fosse la loro vita. Quando ripartii per l’Italia volle il mio indirizzo e qualche tempo dopo mi arrivò una lettera dalla Colombia con i saluti del fantino e una sua foto a cavallo. Mia nonna si arrabbiò perché per lei un uomo non deve mandare la foto ad un altro uomo!
A proposito di “roba scritta” la prima foto dell’articolo è un pezzo di storia postale italomigliarinese! Una cartolina di Bruxelles, comprata là ma mai inviata, con francobollo di re Baldovino e aggiunta di due bollini del VEGE, inviatami dai miei familiari per il mio compleanno all’indirizzo di Bogotá, mi è arrivata dopo 3 giorni!
Onore alle poste! Grazie Catassi! I migliarinesi capiranno!
Il bello doveva ancora arrivare, quello che erano anni che speravo avvenisse: essere lasciato a gestire e rappresentare la fiera e finalmente godere dell’ospitalità! Estela era una bravissima sarta e mi aveva cucito una camicia di seta marrone che portavo ogni giorno, al lavoro e in giro. Inizia l’accesso al pubblico, un via vai incredibile, la polizia mi aveva detto di stare attento a gruppetti sospetti, accogliere preti e bambini ed io obbedivo felicemente, andando in tutti gli altri padiglioni a conoscere il “resto del mondo”. Un giorno arrivò nel nostro un uomo chiamando ad alta voce: “el carmelito, donde sta el carmelito?”. Quando mi vide si avvicinò e si spiegò: “mi hanno detto che qui c’è un italiano che veste di marrone come i frati carmelitani e che gli altri hanno soprannominato appunto carmelito. Sei invitato nel padiglione del Venezuela per un gemellaggio, però cambiati!”.
Estela mi venne in aiuto con giacca camicia e cravatta del marito, meno male aveva la mia taglia. Mi presento, riconoscendo una ragazza che avevo visto in giro più volte che mi saluta dicendomi che lei era la figlia del rappresentante del suo paese e che voleva farmi conoscere i suoi genitori e gli altri imprenditori.
Si sparge la voce che “c’è un italiano” e si avvicina un signore alto che dice “anch’io sono italiano”.
”Piacere Banti” “Piacere Micheletti”
e inizia lo spettacolo!
“di dove sei, di Pisa? Anch’io!”
lo stupore per il caso stessa città cresce e alla mia giustificazione che “non è Pisa città ma un suo comune, Vecchiano”,
l’interesse cresce di più alla risposta dell’altro
“anch’io ho detto Pisa ma sono di Vecchiano”,
siamo all’inverosimile ed ecco il boom finale:
“voglio essere ancora più preciso: sono di una frazione di Vecchiano, sono di Migliarino”
“è troppo, io sono di Nodica ed ho parenti a Migliarino!”
ed io ancora:
“io ho sposato una nodichese!”
Applausi e abbracci con una lacrimuccia.