Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Tra San Sepolcro e il Sudamerica-L’Opa rossobruna di Giuseppe Conte sul Pd e sulla sinistra pacifista
Con il sostegno di web tv, riviste e giornali amici, il leader grillino usa la solita miscela di demagogia e populismo, a spese di Elly Schlein
Se Gregor Samsa si trasformò in un «immondo insetto», nella sua ultima metamorfosi Giuseppe Conte si è tinto di rossobruno. L’avvocato venuto dal nulla, un politico per caso, stavolta si è reincarnato, scavalcando il suo alter ego di destra Matteo Salvini, congiungendosi con il radicalismo super-comunista degli squinternati alla Marco Rizzo e all’antieuropeismo dei centri sociali.
Un fenomeno che in Europa ha come protagonista Sahra Wagenknecht, l’enfant prodige dell’ultrasinistra tedesca il cui partito è peraltro rimasto fuori dal Parlamento alle recenti elezioni in Germania. Il nemico del rossobrunismo è il liberalismo in ogni sua forma e dunque l’Europa, che ne è la culla e che sta cercando di difendere la democrazia liberale dalla nuova ideologia trumputiniana. Non a caso, Conte, come Salvini, è tutt’altro che ostile all’offensiva a tenaglia di Trump e Putin.
Il capo del M5s è riuscito a trasformare il Movimento in un partito personale, cioè in un tram che dovrebbe riportarlo a Palazzo Chigi, il suo unico vero desiderio. Per raggiungere il suo obiettivo, Conte sta costruendo una rete informativa da tenere d’occhio; un laboratorio di alambicchi antiliberali affiancati al più paludato Fatto Quotidiano, che resta la centrale operativa del contismo.
Ne ha parlato sul Manifesto Giuliano Santoro, facendo riferimento a «una compagine messa in piedi dalla webtv Ottolina e dalla rivista online La Fionda». Su questa rivista si trovano molti argomenti contro il riarmo, l’Europa e le idee liberali: «Come si può allora pensare a un esercito comune? Come si può pensare che un “europeo” possa accettare di farsi ammazzare per ordine di uno straniero, di farsi dire dove e per chi andare a morire o mandare a morire i propri figli? Questo valga per chi crede alla fantasia – direi piuttosto alla furbesca ipocrisia – dei nostri politici liberal-progressisti (meglio, tutto sommato la rozza antidemocraticità di Calenda e della Picierno) che affermano, per tenere tutto insieme, per restare tutti insieme, che il riarmo europeo possa essere qualcosa di diverso dal semplice riarmo dei singoli Stati», scrive ad esempio un articolista che si chiama Andrea Imperia, il quale, come si vede, se la prende, senza citarla, con Elly Schlein.
Il no al “riarmo” è dunque un no integrale, altro che difesa comune, obiettivo che dietro varie supercazzole la segretaria del Partito democratico pure condivide. Dunque, l’avvocato lancia un’Opa sulla sinistra speculare a quella di Salvini sulla destra e, sempre nel gioco di specchi, secondo i piani dei trumputinisti italiani ne dovrebbero fare le spese Elly Schlein da una parte e Giorgia Meloni dall’altra. Stia attenta dunque la leader del Pd a non farsi prendere in mezzo tra gli europeisti e questa specie di nuova sinistra che l’ha già scavalcata (c’è sempre uno più puro).
Con la manifestazione del 5 aprile, risposta diretta al grande evento di piazza del Popolo, il capo del Movimento 5 stelle punta infatti a compattare un’area anti-Ue che guarda al gruppo europeo di Left e dunque al duo rossoverde Fratoianni&Bonelli, sin qui fedele al nuovo corso massimalista del Nazareno schleiniano, ma anch’esso ansioso di impancarsi in prima persona a punto di riferimento del nuovo pacifismo imbelle e sostanzialmente fermo nel ripetere gli slogan di cinquant’anni fa, proprio mentre Putin è con i carri armati nel cuore dell’Europa e Trump ha deciso di voler prendersi la Groenlandia senza tante storie.
Conte, umanamente e culturalmente del tutto estraneo alle battaglie operaie e ai temi del lavoro, punta poi a incrociare il no al riarmo con la questione sociale, nel tentativo di intercettare il disagio di larga parte della popolazione, e lo fa andando davanti alla Fiat – ma non è che ci fossero le folle – soffiando sul fuoco con un po’ di demagogia avvocatesca.
Sempre a Torino, alla presenza politica della ministra spagnola del lavoro Yolanda Díaz, si è registrata una convergenza sull’agenda dell’economia di pace contro quella dell’economia di guerra, rilanciando le parole d’ordine dell’aumento del salario minimo e dalla riduzione dell’orario di lavoro nel tentativo di scippare a Elly le due proposte.
Vedremo come andrà la manifestazione (con anche un piccolo corteo fino ai Fori Imperiali, location che consente un bel colpo d’occhio e relativo gonfiamento di cifre sui manifestanti), con porte aperte ad Alessandro Di Battista e Virginia Raggi e quant’altro. Da lì ripartirà la sfida alla segretaria del Pd bollata come troppo timida nel dire no alle armi, ed è un vero paradosso per una leader che è accusata dell’esatto contrario da parte di un pezzo del suo stesso partito.
Conte capisce la debolezza di Elly e punta a pescare nel suo elettorato all’insegna di una nuova fase del suo trasformismo, quello rossobruno che non disdegna i consensi dei sostenitori di Marco Rizzo e Roberto Vannacci, tutto fa brodo, anche i venti di guerra e i bassi salari, pur di tornare a guidare a Palazzo Chigi: è qualcosa tra San Sepolcro e il Sudamerica che si vedrà per un pomeriggio, avvolto nel disprezzo trumputiniano per l’Europa, tra le rovine dei Fori Imperiali.