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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
Nulla obbligò a buttar giu il Conte 2, se non la .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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di Valdo Mori
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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La Voce sì... ma gli Occhi?

11/4/2025 - 13:44


“Canti come un usignolo” si dice a chi ha una tonalità perfetta e lo dimostra con amore, anche se al festival di San Remo del 1957 Claudio Villa e Giorgio Consolini cambiarono i richiami d’amore del mitico uccellino in un pianto:
Quando cantavi alla vita

Un usignolo eri tu

Per me, per me, per me

Ma la tua voce è cambiata

Più non mi parla d’amor

Per te, per te, per te

Usignolo Ma come sa di pianto la tua voce

Mi dice il cuore che non trovi pace

Mi dice il cuore che non sei felice

Usignolo La tua canzone nasce da un sospiro

L’amore che tu vivi è tanta amaro

Sei prigioniero in una gabbia d’oro

L’oro ha fermato il tuo volo

E t’ha spezzato le ali

Nella tua voce v’è il pianto

O mio usignolo

Usignolo Per sempre spengo un sogno

nel mio cuore Io che innalzavo già per te un altare

Coi fior di campo del mio grande amore

Usignolo.


Shakespeare lo usa con Giulietta:


«Vuoi già andar via? Il giorno è ancora lontano. È stato l'usignolo, non l'allodola, che ha colpito l'incavo del tuo orecchio timoroso.  Canta ogni notte, laggiù, su quell'albero di melograno. Credimi, amore, era l'usignolo.»


E Romeo risponde:


«Era l'allodola, la messaggera del mattino, non l'usignolo...»

 

Mentre già Francesco Petrarca recitava:

 

«Quel rosignuol, che sí soave piagne,
forse suoi figli, o sua cara consorte,
di dolcezza empie il cielo et le campagne
con tante note sí pietose et scorte...»

 
Io ho una coppia di usignoli che nidifica nella siepe del giardino e non mi danno sentore di dolori le loro canzoni, anzi di un sollievo che vale una dose di tranquillanti o di ricostituenti.
Quando poi te lo ritrovi, anche nel silenzio, a tu per tu allora sei al settimo cielo e gorgheggi e trilli li senti nel petto!
 

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Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

12/4/2025 - 9:14

AUTORE:
Sofy

L'usignolo cantava. Di prima fu come uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che caddero nell'aria con un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di un'armonica. Successe una pausa. Un gorgheggio si levò, agilissimo, prolungato,
straordinariamente come per prova di forza, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Una seconda pausa. Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo, passò per una catena di variazioni leggere, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come un tenue flauto di canne, su una fistula pastorale. Una terza pausa. Il canto divenne elegiaco, si svolse in tono minore, si addolcì come un sospiro, si affievolì come un gemito, espresse tristezza di un amante solitario, un desìo accorato, un'attesa vana; gittò un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido di angoscia; si spense.
Un'altra pausa, più grave,. Si udì allora un accento nuovo, che non parea escire dalla stessa gola, tanto era umile, timida, flebile, tanto somigliava al pigolio degli uccelli appena nati, al cinguettio d'una passerottina; poi, con una volubilità mirabile, quell'accento mutò in una progressione di note sempre più rapide che brillarono in volate e trilli, vibrarono gorgheggi nitidi, si piegarono in passaggi arditissimi, sminuirono, crebbero, attinsero le altezze soprane. Il cantore s'inebriava del suo canto. Con pause così brevi che le note quasi non finivano di spegnersi, effondeva la sua ebrietà in una melodia sempre varia, appassionata, dolce, sommessa e squillante, leggera e grave, interrotta ora da gemiti fiochi, da implorazioni lamentevoli, ora da improvvisi impeti lirici, da invocazioni supreme"