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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Nella Segreteria è stata eletta Silvia Cosci, confermato Piero Benazzi
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di Umberto Mosso
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di Emiliano Liberati
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di Adriano Bomboi
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di Mario Lavia
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
di Mario Lavia
Bastardi senza gloria

14/4/2025 - 8:58

Bastardi senza gloria - L’eterna Italia dell’8 settembre abbandona l’Ucraina e l’Europa, e si rende vassalla di Trump

Mentre la Russia bombarda con ferocia Sumy, Meloni lascia che Giorgetti faccia sfilare il nostro paese dal ReArmEu. Una resa ignobile a Mosca, mascherata da prudenza

Nella domenica delle Palme, i ramoscelli russi sono due missili balistici Iskander M/KN-23, micidiali vettori di morte che sfuggono ai radar e fanno sfracelli dove meno te l’aspetti. Come ieri a Sumy, nel nord-est dell’Ucraina, dove ci sono state decine di morti, fra questi, molti bambini, e centinaia di feriti. «Solo un bastardo può fare una cosa così», ha detto Volodymir Zelensky. Il suo Paese sta soffrendo da giorni un’offensiva tremenda di Mosca. 

Il 4 aprile fa era stata colpita Kryvyi Rih, la città del presidente ucraino, un missile russo aveva provocato venti morti, tra cui nove bambini, e anche Odessa e Kijiv sono state ripetutamente bersagliate. Tutto questo mentre Donald Trump ha la faccia per ripetere che «presto arriveranno molte buone notizie»: ecco un altro bastardo senza gloria, che si gioca l’Ucraina a testa o croce mentre Steve Witkoff a San Pietroburgo è stato costantemente preso in giro dal dittatore del Cremlino e forse nemmeno se n’è accorto.

Tutti hanno condannato la barbarie di Sumy, e Giorgia Meloni lo ha fatto mettendoci un penoso riferimento all’«impegno di pace promosso dal presidente Trump»: veramente un esempio di kiss my ass a pochi giorni dall’innocuo viaggio a Washington. 

Da giorni gli appelli di Zelensky per nuovi aiuti sono sempre più drammatici, del tutto vani. Ma mentre Trump si agita per arrivare a una trattativa che gli consenta di fare soldi, da un po’ di tempo l’Europa è distratta, presa dalla vicenda dei dazi, una questione che si sta trasformando in una Grande Scusa per lasciar perdere l’Ucraina (su Gaza poi è ancora peggio, dato che è una tragedia in cui l’Europa non ha mai messo il naso, dunque figuriamoci ora, mentre le idiozie di Trump sulla Riviera da costruire sulle macerie, e farci i soldi – sempre loro – soffia nel vento dei permanenti attacchi israeliani).

In questo quadro, di soppiatto, l’Italia si sta sfilando dal ReArmEu/Readiness2030. Essendo un Paese importante, la cosa non è un buon viatico per il progetto europeo, ma pazienza. Il processo sarà forse più graduale di quanto inizialmente previsto, anche se si era capito subito che ci sarà un gruppo che sarà più avanti, un altro che seguirà e probabilmente un altro ancora che non farà niente di niente (rendendosi vassalli degli altri). 
È stato Giancarlo Giorgetti, l’uomo che «tiene i conti in ordine» anche perché non fa nulla, non investe, non innova, non rischia, all’Ecofin di Varsavia a tirare l’Italia fuori dal progetto di riarmo, persino nicchiando sui centocinquanta miliardi annunciati nel programma “Safe” e non volendo attivare la «clausola di salvaguardia» che consente di sforare il Patto di stabilità: le due cose sono i pilastri su cui si fonda l’edificio del Piano. 

Dietro le motivazioni di bilancio, quello di Giorgetti è un preannuncio che contrasta con la posizione ufficiale sin qui espressa, per quanto a spizzichi e bocconi, dal governo italiano in tutte le sedi europee, a partire dal ministro della Difesa Guido Crosetto che chissà se era stato avvertito; nonché in contraddizione con le posizioni non solo della Commissione, ma anche del Parlamento europeo. Si potrebbe dire che è un effetto del congresso nero della Lega (quello con Viktor Orbán, Marine Le Pen ed Elon Musk special guests), ma questo è solo parzialmente vero. 
Non è infatti possibile che il ministro dell’Economia abbia espresso questa posizione senza averla concordata con la presidente del Consiglio. Perciò quello che colpisce è il capolavoro di vigliaccheria politica di Meloni (oltre allo sconcerto per la totale estraneità alla vicenda del ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale a questo punto dovrebbe reclamare un chiarimento). 

È vero che Meloni ha sempre espresso qualche scetticismo sul piano presentato da Ursula von der Leyen, un piano di cui via via che passano i giorni si avvertono le imperfezioni, che non sono le supercazzole di Elly Schlein, ma la definizione puntuale dei meccanismi e della tempistica d’attuazione. Però mai, tantomeno in Parlamento, Giorgia Meloni ha detto che l’Italia non avrebbe aderito al Piano, nel senso di non volerne utilizzare i fondi. 
È probabilissimo che la scaltra Meloni abbia avvertito la contrarietà di una bella fetta dell’opinione pubblica, emersa da ultimo nella manifestazione contiana del 5 aprile, oltre alla indisponibilità della Lega e del «pacifismo hippie» di Pd-Avs-Conte.

Ora, una presidente del Consiglio che si fa influenzare dagli umori della piazza, dai discorsi di Alessandro Barbero e dei sondaggi televisivi, assomiglia più a una burocrate che a una statista. Con questi chiari di luna, e probabilmente giudicando ineluttabile la svendita dell’Ucraina a Vladimir Putin, Meloni ha pensato bene di dare alla chetichella un segnale di disimpegno dall’unico vero progetto europeo, quello di emanciparsi dagli Stati Uniti, modello Trump, prefigurando concretamente un passo avanti nella direzione di un’Europa come soggetto politico, istituzionale, militare autonomo. 
Era ovvio che prima o poi Giorgia Meloni volesse dare un colpetto all’idea europeista. Lo ha fatto nel comizio a Montecitorio contro gli antifascisti di Ventotene. Lo ha ribadito con la fuga giorgettiana di Varsavia. Mentre i bastardi senza gloria mandano l’Ucraina sull’orlo dell’abisso, l’Italia non aderisce né sabota, cincischia, rinvia: i soliti italiani brava gente dell’otto settembre.





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