Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Mi piacerebbe far capire ai miei amici Gentili cosa sto provando da quel sabato maledetto del 7 ottobre.
Sono nata in Libia e all’età di 7 anni, sono stata vittima di un pogrom da parte degli arabi locali ai danni di tutta la comunità ebraica libica.
Folle scatenate che urlavano “IDBAH AL YAHUD!” (sgozza gli ebrei) presero d’assalto persone e proprietà di ebrei, la cui unica colpa era di essere ebrei.
Per me era la prima volta, ma per i miei genitori, no. Loro già subirono i pogrom del 1945 e del 1948. Le modalità erano sempre le stesse; incendiare case e negozi di ebrei, stupri, uccisioni di donne uomini bambini e anziani trucidati a colpi di machete,
Riuscimmo a scappare e arrivammo a Roma con status di profughi, ma ci fermammo per poco perché papà che fu picchiato a sangue e vide impotente una pistola puntata alla testa del figlioletto, sentiva che da ebreo sarebbe stato al sicuro solo in Israele, lo Stato degli ebrei.
La vita in sicurezza in Israele è sempre stata una cosa relativa, tra guerre, attentati e missili, ma tutto sommato, ci sentivamo sicuri, perché eravamo uguali a tutti, con le nostre forze dell’ordine e soprattutto con il nostro leggendario esercito.
Sognavamo di poter un giorno vivere in pace con i nostri vicini, una vera pace, fatta di scambi culturali economici e sociali e intanto si viveva sereni, in un paese democratico, potendo realizzare ognuno i suoi sogni privati, orgogliosi del nostro paese e soprattutto gioiosi e felici.
Felici e gioiosi perché le difficoltà ci avevano forgiato come persone e come nazione e ci avevano insegnato ad apprezzare ogni momento della vita.
Poi arrivò il 7 ottobre.
La nostra terra invasa e profanata da bestie assetate del nostro sangue che il loro intento era di sterminarci, di spargere il nostro sangue e di cancellare il nome di Israele dalla faccia della terra. Come allora. Come in quei pogrom del passato. Come allora, sempre urlando inferociti ALLAH U AKBAR e IDBAH EL YAHUD.
Da codardi che sono, hanno preso d’assalto giovani inermi in un festival musicale e famiglie indifese nelle loro case.
Nel giro di poche ore hanno sterminato 1200 persone. Solo perché ebree o israeliane.
Per un attimo il mondo si è fermato per solidarizzare con noi e un attimo dopo, si è scatenato il putiferio contro di noi. Un odio assurdo, inspiegabile, inaccettabile. Un odio atavico e cieco che non distingue tra giusto e sbagliato. Un odio profondo rivolto contro Israele e contro tutto il popolo ebraico nel mondo. Contro di noi, le vittime.
Dal 7 ottobre ho una paura fottuta. Per la mia incolumità, per quella dei miei figli, della mia famiglia, dei miei amici, del mio popolo e soprattutto per la sopravvivenza dello stato d’Israele, minacciato su tre fronti geografici ma anche da molti altri.
Sono sicura che molti di noi ci metteranno la pelle in questa ondata di antisemitismo che aumenta e acquisisce forza e sostegni di giorno in giorno, ma sono altrettanto sicura che niente e nessuno riuscirà ad abbattere lo spirito del mio popolo che continuerà ad esistere, alla faccia di tutti gli odiatori.
Ho provato qui a spiegare come mi sento e come ci si sente, ma so con certezza che nessuno può mettersi nei nostri panni e provare ciò che proviamo oggi più che mai. Segnalati. Braccati.
Silvia Bublic Dadusc,
tempo fa.