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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Raccontino di Giancarlo Montin
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Assemblea soci Coop.
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
di Matteo Renzi, senatore
Il mio ricordo di Papa Francesco

22/4/2025 - 11:49

Il mio ricordo di Papa Francesco

In queste ore di dolore per la morte di Papa Francesco convivono vari sentimenti. Per chi crede, come me, è rilevante l’aspetto religioso: qual è lo stato di salute della Chiesa? Quali sfide attendono i cattolici oggi?La questione geopolitica invece riguarda anche chi non crede: in alcuni momenti della storia il Vaticano ha svolto un ruolo decisivo.

L’esempio più eclatante è quello di Giovanni Paolo II, il Papa polacco attivo protagonista del crollo del blocco sovietico. Oggi viviamo in un tempo privo di credibili leader globali: che eredità lascia Francesco? E potrà il nuovo Papa giocare un ruolo nello scacchiere mondiale? Ma adesso avverto, soprattutto, il desiderio del ricordo personale.

Ho avuto la fortuna di incontrare molte volte il Papa. Francesco non amava il protocollo. E dunque è capitato in più di una circostanza di andare a trovarlo senza dirlo a nessuno, se non agli uomini della scorta. Uscivo in incognito da Palazzo Chigi con una utilitaria, ed entravo in Vaticano, a Santa Marta, per dialogare in modo informale con Papa Bergoglio. Erano scambi di opinione soprattutto sulle vicende internazionali, in una stagione segnata dagli attentati degli estremisti islamici. Tengo per me, come è giusto, il contenuto di quei dialoghi ma mi colpisce un particolare: tutte le volte che finivamo di parlare il Papa mi accompagnava fino alla macchina. Anche quando aveva mal di schiena (allora capitava spesso) si aggrappava al corrimano, saliva le scale e aspettava che uscissi e salissi in auto.

E quando gli dicevo: Santo Padre, stia qui, salutiamoci adesso, non si preoccupi, mi rispondeva che lo faceva con tutti e che era un dovere di ospitalità.Piccoli gesti di attenzione. Come quello che volle regalarci nelle prime settimane della mia esperienza di Governo nell’aprile 2014. Con Agnese, Francesco, Emanuele e Ester entriamo a Santa Marta per un incontro strettamente privato.

Nessun fotografo. La famiglia è naturalmente scombussolata dal cambiamento di vita. Papa Francesco resta da solo per oltre mezz’ora con noi, a parlare con i ragazzi. Il Papa ci accoglie e ci fa sentire a casa. Chiede ai figli come va a scuola. Si mette in cerchio con noi e propone di recitare tutti insieme un’Ave Maria. Alla fine della preghiera Emanuele dice la cosa più semplice e più bella: sembra di stare con Padre Enrico. Padre Enrico è il sacerdote gesuita che la nostra famiglia aveva imparato a conoscere ed apprezzare durante i periodi di “discernimento” che la spiritualità ignaziana offre. Essere nel cuore del Vaticano e sentirsi come in famiglia.E allora il Papa saluta: “mi raccomando, ho fatto un patto con il vostro papà. Io pregherò per lui, lui pregherà per me”. E in pulmino tornando verso Palazzo Chigi i commenti dissacranti dei miei figli sul fatto che questo accordo non fosse equo perché “dai babbo, così non è giusto: il Papa prega davvero, non è come te che ti addormenti”.

E poi discussioni sul dono di famiglia. Perché il ritratto che Ester – che allora non aveva ancora 8 anni – gli aveva preparato come regalo, secondo i maschi, non andava bene: il Papa era vestito con una tonaca azzurra. “Scusa Ester perché lo hai fatto azzurro?” “Eh, non è che potevo lasciarlo bianco e avevo solo l’azzurro come colore.” “Ma così sembra il Grande Puffo”. “Uffa, lui mi ha detto che gli è piaciuto!”. Insomma: eravamo andati ad incontrare il sommo Pontefice della Chiesa universale ma la famiglia Renzi si era sentita accolta nel modo più semplice e profondo perché Francesco si era posto con quell’umanità che lo ha reso speciale. Certo, aveva anche il suo caratterino mica da ridere. E non amava la strumentalizzazione di una parte del mondo politico, religioso, accademico. Così, il giorno prima delle Europee, nel maggio 2014, decido di non andare a salutarlo all’aeroporto mentre è in partenza per un viaggio in Terra Santa.

Un’antica consuetudine prevede che il Presidente del Consiglio si rechi a Fiumicino o Ciampino per salutare il Santo Padre alla partenza del volo. È il sabato della vigilia elettorale. Politicamente è una ghiotta occasione. Francesco è amatissimo, soprattutto nei primi mesi di pontificato. Tutte le telecamere sono pronte a riprendere le immagini della sua partenza per Gerusalemme. I miei mi dicono: dai che ci facciamo un giro sui TG senza violare la par condicio. Magari ci aiuta anche per le elezioni. Non mi va. Decido allora di mandargli qualche ora prima un biglietto a mano: “Santo Padre, scusi se non vengo a salutarla.

Ma siamo in campagna elettorale. Magari la mia presenza diventa occasione di polemica anche verso di Lei. Verrà una rappresentante del Governo, io resto a Palazzo e spero comunque di rivederla presto”.E così mentre la ministra Marianna Madia mi sostituisce e va a salutare il Papa come da protocollo, io ricevo una telefonata da “numero privato”. Nessun segretario, nessun saluto introduttivo, nessun giro di parole. Sento una voce parlare in italiano con accento argentino.

E mi dice tutto allegro: “Lei ha fatto bene! Dobbiamo evitare strumentalizzazioni.” E poi ironico “Forse questi giovani politici non sono così male, dai. Forse eh” E ride. Sono contento, ringrazio, saluto e auguro buon viaggio. Poi quando metto giù mi viene il dubbio: ma era davvero lui? E se mi hanno fatto uno scherzo telefonico?Non era uno scherzo telefonico. E del resto il Papa era in privato come lo vedevi sui media. Con lui si parlava di tutto. Anche di temi delicati sul piano etico: sono gli anni in cui vengo attaccato da parte del mondo cattolico per la Legge sulle Unioni civili. “Renzi ce ne ricorderemo” scriveranno al Circo Massimo gli organizzatori di un evento contro il mio Governo. Ma ci sono tante pagine meno conosciute che tornano alla mente in queste ore.Preparando il viaggio a Firenze per il Congresso Eucaristico del 2015, per esempio, mi dimostra di conoscere la storia della Chiesa fiorentina del Novecento non solo nelle pagine più famose, da La Pira a don Milani. A un certo punto mi regala un aneddoto sul cardinal Elia Dalla Costa, aneddoto che a lui era stato riferito e che voleva verificare. Il cardinale Dalla Costa per noi fiorentini è un riferimento straordinario. Si pensi solo che quando arrivò Hitler in visita in città, nel 1938, il cardinale decise di sprangare le finestre dell’arcivescovado perché la croce uncinata era nemica “della croce di Cristo”.

Dirlo oggi è un dovere. Dirlo nel 1938 non era la cosa più facile del mondo. Il Papa sapeva quella storia e non solo quella sul cardinale.Dopo un po’ di discussioni sulla storia mi chiede a bruciapelo che cosa suggerisco di andare a visitare in città. E io, che ho appena smesso di fare il Sindaco, mi sbizzarrisco. Gli parlo di tutte le opere della capitale del Rinascimento in cui si intrecciano arte e fede. O i luoghi della Misericordia nata in Piazza del Duomo. Traccio tutto esaltato improbabili ipotesi di spostamenti. Lui mi stoppa. È irremovibile e mi dice: io voglio soprattutto andare nella periferia, dove ci sono questioni di disagio. E voglio andare in realtà dove ci sono problemi legati ai migranti.

Nasce così un’appendice della visita e il Papa insiste per recarsi a Prato dove è fortissima la comunità cinese.L’attenzione di Francesco per le periferie è straordinaria: ricordo ancora quando gli presento il progetto del Governo sulle Periferie post Bataclan, progetto pensato sulla base di alcune suggestioni di Renzo Piano e della sua arte del rammendo. Ma ancora più forte è il suo costante richiamo alla questione migratoria. Quando l’Italia guida il semestre di presidenza europea il Papa accetta l’invito del Parlamento Europeo e fa un intervento durissimo e bellissimo sul Mediterraneo che non può diventare “il cimitero d’Europa” e parla della vecchia Europa come una “nonna stanca, non più vivace”. È una sveglia che il Papa venuto dalla fine del mondo suona da Strasburgo. La sua voce arriva forte e chiara non a sostegno di un Governo o dell’altro ma delle battaglie che condivide: quella sull’Expo, ad esempio, con un video messaggio per l’inaugurazione il primo maggio 2015 o quella sulle carceri.

Quando lancia il Giubileo della Misericordia, che si apre a fine 2015 e si chiude a novembre 2016, decide di inaugurarlo nella Repubblica Centrafricana. Per la prima volta nella storia della Chiesa un Giubileo vede aprire la Porta Santa non a Roma, non in Vaticano, ma a Bangui. Che è la capitale di un Paese dilaniato dalla guerra, dalla tragedia, dai massacri.

Adesso si può dire: il viaggio del Papa preoccupa tutte le cancellerie internazionali. Sono passate due settimane dal dramma del Bataclan, il mondo è sconvolto dagli attentati, captiamo diversi segnali di allarme. I nostri apparati di intelligence e di sicurezza sono al lavoro per aiutare il Vaticano ma sono preoccupati e dunque mi chiedono di andare dal Papa per capire se possiamo rimodulare la visita, se può evitare di rischiare così tanto. “Presidente, lei ha un ottimo rapporto personale con il Papa. Vada lei a incontrarlo informalmente. Provi a farlo desistere dalla sua idea di inaugurare l’Anno Santo in Repubblica Centrafricana. Lo convinca”.Come no, semplicissimo. Vado a Santa Marta informalmente. Mentre raggiungo il Vaticano nascosto in una piccola utilitaria Lancia, per non destare sospetti ai giornalisti appostati fuori da Chigi, rimugino su come posso provare a convincerlo. Non faccio in tempo a introdurre l'argomento. Appena arrivo e ci mettiamo a parlare il Papa mi ringrazia per tutto l’impegno dei nostri per la sua sicurezza in Repubblica Centrafricana e mi travolge con l’entusiasmo per inaugurare il Giubileo laggiù come “segno di misericordia e riconciliazione”.

Quando rientro a Chigi mi chiedono “sei riuscito a convincerlo?”. Non ho il coraggio di dire la verità: non sono riuscito nemmeno a provarci. Perché quando Francesco si mette in testa un’idea è difficile fermarlo. Irremovibile, anche se sorridente. Come pure mi sorride in occasione dell’ultimo incontro prima delle dimissioni. Sta per chiudersi il Giubileo della Misericordia.

La cerimonia, stavolta, è a Roma, in Piazza San Pietro. Prima che inizi la Messa vado dentro la Basilica scortato dal protocollo per andare a salutarlo, insieme ad Agnese. Al solito è molto affettuoso con entrambi. Gli racconto al volo di un paio di incontri internazionali che avevo fatto (soprattutto una cena con il Presidente cinese Xi che si era svolta qualche giorno prima in Sardegna) e lui alla fine mi chiede: “Come va con questo referendum?”. Mancano due settimane alla sconfitta del 4 dicembre. Lo guardo. Mi guarda. “Andare per me va benissimo, gli dico. Ma i sondaggi non la pensano come me”. Scoppia la risata. Rido io, ride Agnese, ride il Papa. Come dire: è andata ma le cose importanti della vita sono altre. “Non dimenticatevi di pregare per me, mi raccomando” ci dice salutandoci.

E quando qualche giorno dopo mi dimetto da Premier, mi invia una commovente lettera scritta a mano, con la bellissima calligrafia che lo contraddistingue e che inizia con l’espressione “Caro fratello”. Fa riferimento al mondo scout, mi invita a rialzarmi. Sono parole preziose che mi porto dietro da quasi dieci anni.
 
L’ultimo incontro è di agosto 2024. Con Agnese stiamo per festeggiare le nozze d’argento. Andiamo da Papa Francesco, dopo tanto tempo. Ci accoglie con la consueta umanità. Parliamo di tutto. Gli dico che sono preoccupato per la Chiesa e mi dice che sbaglio: la Chiesa è in crisi in Europa, ma è forte nel resto del mondo, mi dice. Scherziamo sulle imminenti elezioni americane. Parliamo della questione migratoria, che per lui è sempre più centrale, persino più di dieci anni fa. Agnese poi gli mostra un’immagine di Tommaso, figlio di nostri cari amici, che in quel momento è in coma dopo un incidente di motorino: il Papa prende il telefonino con il volto di Tommy, si raccoglie in preghiera, si preoccupa della famiglia. E alla fine, prima di congedarci, ci regala la preghiera del buonumore di Tommaso Moro, patrono dei politici.

Gli chiedo come sta, davvero. Mi dice che continua a combattere. In quelle ore qualcuno parla di dimissioni del Papa. Ma nel mio piccolo capisco che vuole andare avanti fino alla fine. E così sarà. C’è qualcosa di bellissimo nel suo gesto di fare un ultimo giro della piazza proprio la domenica di Pasqua, il giorno prima di morire. Il Vangelo della Passione dice che Gesù ama i suoi discepoli “fino alla fine”. Ed è fino alla fine che Papa Francesco è stato in mezzo alla sua gente. Anche allontanandosi dai simboli del potere a cominciare dal mancato utilizzo dell’Appartamento pontificio o dalla sepoltura fuori dal Vaticano.La storia esprimerà il proprio giudizio sul Papato di Francesco.Io sono solo felice di averlo incontrato.

Felice e grato, per quello che ho ricevuto.





























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