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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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LUNA e PELLE

13/10/2010 - 13:51

VECCHIE ABITUDINI

Non si agitino tanto i puri animalisti, ma il mondo andava così.

Oggi si trova la carne bellecchepronta sugli scaffali dei supermercati: tranci di agnello, faraona in parti, gallina eviscerata, piccioni già drogati, anatre spellate, tutti gli animali da cortile confezionati e senza parlare della serie di parti di bestie, “da macello” appunto, messe in bell’ordine e in tagli speciali.
A nessuno viene certo in mente di sapere chi e come abbia fatto il lavoro “sporco”, quello cioè di uccidere l’animale. È un lavoro necessario… e va fatto!
Quando, nel tempo passato e solamente in certe occasioni, l’alimentazione delle famiglie aveva la carne sulla tavola, questa non era quasi mai acquistata dal macellaio.

Ogni famiglia aveva le sue bestie nella stalla o nel pollaio, accudite e coccolate per essere, al momento giusto, sgozzate, decapitate o strangolate dal capoccia o anche dalla massaia.
I bambini non erano chiamati quasi mai a fare questa operazione, ma non perché fosse per non urtare la loro sensibilità, anzi era una cosa che andava insegnata perché giusta e necessaria, ma perché il loro aiuto non avrebbe avuto senso.
Il maiale era troppo violento quando si cercava di legarlo per le zampe posteriori per poi piantargli il punteruolo nel cuore, le anatre mute beccavano anche se non sapevano di essere strangolate da una tirata di collo che necessitava di una notevole forza e così altre “preparazioni ante cucina”, ma una era anche da ragazzi: la spellatura e sistemazione del coniglio.

Babbo o nonno decidevano, il giovedì o il venerdì, di voler mangiare, la domenica, un bel fritto di coniglio, con un bel ragù del suo fegato con la testa “intera” da succhiare , o una tegamata di lapino in umido coll’ulive, oppure bello arrosto con patate e allora veniva tirato fuori dal gabbione quello che sembrava fosse il più grosso della nidiata, che ormai ci stavano stretti con la mamma (il padre era rinchiuso in un’altra gabbia).
Il coniglio veniva preso per le zampe posteriori e tenuto, o cercato di tenere, con la testa all’ingiù. L’animale urlava con un suono che sembrava lo stridio dei ceppi malfrenati di un vagone ferroviario, facendo accorrere il cane abbaiante e subito zittito e allontanato con una pedata.
Lisciando vigliaccamente la schiena della vittima per cercare di calmarla, o meglio posizionarla, si doveva aspettare che le orecchie si rilassassero e lasciassero scoperto il collo.
L’arma era il dorso della mano!

Quando la bestia era immobile si doveva sferrare un colpo violento e preciso nel collo, uno e uno solo!
C’era chi usava un legno, ma non era da veri uomini.
Un paio di colpi di zampe per nervi riflessi e tutto era finito e pronto per la seconda fase.
Prima però andava fatto uscire il sangue che era sceso alla testa e avrebbe “macchiato” le vertebre cervicali coagulandosi.
Con un coltello a punta, era sempre lo stesso che veniva usato “solo” per i coniglioli, si asportavano gli occhi per far colare il sangue che nessuno pensava di raccoglier in un recipiente, almeno per igiene se non per pulizia, ma si lasciava cadere a terra, tanto il lavoro veniva fatto all’aperto vicino al “sugo” o all’orto.
Noi ragazzi avevamo il compito di tenere il coniglio per le zampette posteriori e ben divaricate, come divaricate dovevamo tenere anche le nostre in modo che il corpicino dondolando non le urtasse o il sangue non macchiasse i pantaloni, e il dorso verso il “grande”.
Questi incideva allora, a mezzo centimetro dalla nostra mano chiusa, causandoci un poco di paura che la lama ci tagliasse, la pelle appena appena sotto lo zampuccio peloso (sembravano pantofole), e poi da lì fino al codino, prima una zampa poi l’altra; un paio di strattoni e la pelle scendeva fino al buchetto del culo che quasi sempre faceva uscire le ultime palline di cacca facendoci ridere.
A quel punto noi dovevamo far cambio di posizione delle zampe, destra a sinistra e viceversa, in modo da dare ora la pancia verso il lavorante. Un taglio netto dalla vescica fino alla gola, taglio lungo ma non profondo per non scalfire la carne, ma solamente la pelle, e tutto il “morbido vestito peloso” scendeva fino alla testa mostrando un interno bianco sporco che contrastava con il rosa del corpo “denudato”.
Ogni movimento era da noi studiato e memorizzato, ogni cosa aveva il suo verso e tutto era normale.
Per quello che mi ricordo nessun ragazzo si è rifiutato di prestare aiuto allo spellamento di un coniglio, anche perché vi era un tornaconto!

Il taglio della pancia era quello che più affascinava. Appena la lama scendeva in giù apparivano una quantità di stranezze: la vescica gialla sempre piena di urina che attenzione a non rompere, budelli di vari colori e spessori aggrovigliati che non finivano mai, un mucchio marrone di fegato che andava manipolato con cura per non sciupare il sacchettino del fiele che, per sentito dire, era amaro come il fiele, due pallottole rossicce che sembravan ghiande, una massa rosa doppia di polmoni, una palla di stomaco violacea, un tubo bianco duro d’esofago e tutto, lo giuro, se ci fosse stato da rimetterlo a posto, nessuno sarebbe riuscito a farlo, come il pulcino appena nato che è il doppio dell’uovo che lo conteneva.
Tolta anche la pelle della testa era tutto finito, il genitore rientrava in casa con il fardello penzolante, le interiora venivano gettate sulla concimaia, la massaia era pronta con la tinozza per la sciacquatura e a noi restava la pelle, guadagno meritato!
Dopo averci giocato un poco per sentire quell’attaccaticcio dell’esterno che pochi minuti prima era stato l’interno di coniglio, la pelle veniva sbattuta sulla parete della latrina, il logo, e ci restava attaccata, pronta a seccare al sole o all’aria e pronta per essere venduta al pellaio che passava ogni tanto a cercar cenci vecchi e pelli, ma era inutile che passasse più spesso perché i cenci si rammendavano spesso e i conigli si mangiavan poco.

"CENCIAIOO, PELLAIOO, chi ha pelli e cenci vecchi da venderee!"

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