none_o


Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
Arabia Saudita
none_a
Incontrati per caso...
di Valdo Mori
none_a
Dalla pagina di Elena Giordano
none_a
storie Vere :Matteo Grimaldi
none_a
Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
none_o
LUNA E NECCI

6/11/2010 - 22:36

Come eravamo:

 

Nella montagna toscana, dalla Garfagnana al Mugello o al Casentino, le popolazioni si sono alimentate per centinaia di anni del "pan del bosco",   in tutte le sue possibili variazioni culinarie: arrostita, lessata, ridotta in farina e sciolta nel latte, in polenta sola o mista col granturco, a pane e companatico e dolce insieme.

 

La castagna

 

Il castagno è una pianta conosciuta e apprezzata fin da tempi remotissimi, ricordata nella Bibbia e nei poemi di Omero.

In Italia ebbe fin dall'antichità grandissima diffusione, prevalentemente sull'Appennino fra i 300 e i 1000 metri di altezza. Dal medioevo ad un recente passato, quasi ai nostri giorni, la castagna ha costituito la base del nutrimento delle popolazioni della montagna, come dimostrano i numerosi interventi legislativi succedutisi nei secoli, relativi alla tutela e alla regolamentazione dello sfruttamento dei castagneti. Gli Statuti di Gavinana del 1540, ad esempio, prevedevano che la raccolta delle castagne da parte del proprietario terminasse col mese di novembre, dopo di che i poveri potevano andare liberamente a raccogliere i frutti che restavano.

A questo proposito, una credenza popolare afferma che il cardo contiene tre castagne perché una tocca al padrone, una al contadino e la terza ai poveri.

Le castagne, per essere macinate, devono essere preventivamente seccate.

In Toscana la seccagione avveniva nel metato, una costruzione rustica eretta nel luogo di raccolta delle castagne. Talvolta, come sull'Appennino Pistoiese e in Garfagnana, il metato era parte integrante dell'abitazione: sostituiva la cucina ed era luogo di incontro, in quanto vi si tenevano le veglie. Le castagne erano poste a seccare sul canniccio o sulle cannaiole, cioè su una impalcatura costituita da assi di legno ravvicinate o da canne, alla quale il focolare della cucina assicurava un calore costante.

 

Pascoli ricorda nei Canti di Castelvecchio (Il ciocco) un:

 

"metato soletto in cui seccasse a un fuoco dolce il dolce pan di legno: sopra le cannaiole le castagne cricchian, e il rosso fuoco arde nel buio."

 

Una volta seccate, le castagne venivano sgusciate con una energica battitura che triturava i gusci dentro robusti sacchi o in un apposito recipiente detto bigoncia.

Oggi  i metati sono quasi del tutto scomparsi, trasformati spesso in stanze di abitazione o in ripostigli per gli attrezzi.

Gli abitanti delle zone montagnose della Toscana dicevano: “pan di bosco e vin di nugoli”, alludendo ironicamente alla loro alimentazione fondata sulla farina di castagne innaffiata, quasi sempre, da acqua di sorgente.

 

Il castagno è veramente l’albero del pane e non solo nel detto popolare, ma in racconti sulla vita dell’uomo legata alla castagna che è: “più nutritiva di tutti i granelli, in tanto che è prossima a’ granelli del pane” come diceva Galeno.

Della farina, come ci ricorda il Mazzarosa nel suo studio sulle campagne lucchesi:

l’uso che se ne fa è a polenta con un po’ di sale, o a neccio cuocendola tra due testi infuocati di ferro o di terra cotta o di certa qualità di sasso detto pietra morta, impastata avanti con acqua, e avvolta in foglie di castagno seccate apposta e ammollite a questo bisogno in acqua tiepida”.

 

In lucchesia si facevano provviste di tali foglie necessarie per i necci coinvolgendo amici e parenti in giorni stabiliti per sfogliare delle frasche portate a casa durante il giorno e favorire l’occasione per ballare, scherzare e stare insieme per lo scartoccio.

 

Quelli della mia età ricorderanno i dolcetti che da bambini si facevano con la farina dolce, chiamata così quella di castagne, che si metteva, ben pressata, nei ditali da cucito di mamma e nonna posti poi vicino al fuoco o sulla cenere calda. Dopo un poco si toglievano e, battendoli dolcemente sulla pietra del camino, si ottenevano dei piccoli coni tronchi che venivano succhiati lentamente e che sostituivano egregiamente dolci e dolcetti.

Io, dopo avere rovinato i due ditali di casa, avevo imparato ad usare i fondelli delle cartucce esplose da mio padre e, invece di blocchetti, mi cuocevo rondelle di farina tostata che facevano più "caramella".

 

Trovalo ora, riferendomi ad un bambino, un focolare, un bossolo, del tempo dopo cena e soprattutto un babbo e una mamma che ti lascian traffià’ co’ perioli!

E' meglio allora spippolà’  co’ gioini, che lì' un ti ci bruci noe le dita, ma ‘r cervello sie!

  

+  INSERISCI IL TUO COMMENTO
Nome:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
EMail:

Minimo 0 - Massimo 50 caratteri
Titolo:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
Testo:

Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

9/11/2010 - 15:21

AUTORE:
Da "Le parole di ieri"

TULLERE
Lett: nc.
Le tullere sono le castagne secche lessate.
Nei tempi andati le castagne rappresentavano una grande ricchezza per gli abitanti poveri delle nostre colline, costituendo una grande e inesauribile riserva alimentare.
Venivano consumate bollite, le famose ballotte, oppure messe a seccare per trasformarle in castagne secche da cui si ricavava anche un tipo di farina.
Per farle seccare venivano raccolte e ammassate in una costruzione in muratura chiamato metato costituita da una sola stanza, con in basso una porta per entrare ed in alto una piccola finestra. Subito sotto la finestra si trovava un pavimento formato da assi di legno di castagno posizionate in maniera da lasciare filtrare l’aria e che prendeva il nome di canniccio. Su questo pavimento dalla finestrina si distribuivano le castagne ancora verdi facendone uno strato spesso 50-70 centimetri. Nel locale sottostante veniva acceso un fuoco, rigorosamente di legna di castagno, che veniva mantenuto acceso senza fiamma per circa 30-40 giorni fino a che le castagne non fossero completamente disidratate, cioè diventate castagne secche. Da queste si ricavava una farina con cui si preparavano dolci come i necci, tipici della lucchesia, il castagnaccio o semplicemente i ditali, così detti perché realizzati semplicemente riempiendo di farina un ditale (quel piccolo astuccio di ottone utilizzato per cucire) e ponendolo sulla stufa ad anelli finchè non era cotto.
La stufa ad anelli si trovava in tutte le abitazioni ed aveva il duplice scopo di riscaldare l’abitazione, sia pure in misura parziale, e di servire per cucinare. Aveva una struttura quadrangolare, con un piano superiore di ghisa e degli sportelli sul davanti. Uno sportellino si apriva sul vero e proprio fornello, dove si accendeva il fuoco e si metteva la legna che forniva il calore a tutta la stufa.
Subito accanto si trovava un altro scomparto, il forno, utilizzato per cuocere i dolci e gli arrosti.
La stufa si alimentava dallo sportellino sul davanti ma era possibile anche caricare la legna dall’alto poiché il piano superiore, di ghisa, non era un pezzo unico ma bensì formato da tanti anelli concentrici, incastrati uno sull’altro, che si potevano facilmente togliere. Su questo poggiavano le pentole, i tegami, le padelle a diretto contatto con il fuoco sottostante. Il piano terminava di lato con un recipiente, chiuso da coperchio di ferro cromato, in cui si teneva dell’acqua costantemente calda.
Solo chi ha vissuto in quei tempi senza riscaldamento può capire l’utilità di avere a disposizione sempre una piccola quantità di acqua calda. Subito dietro la vaschetta dell’acqua c’era il tubo, di solito di un bel colore marrone, che portava i fumi di scarico all’esterno dell’abitazione. Questo poteva avere, ad una cera altezza, un cerchio di ferro con tante piccole aste che si bloccavano in fuori e si utilizzavano per appendere dei panni ad asciugare, utilizzando il calore della stufa sottostante.