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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Domenica 7 Luglio mercatino di Antiqua a San Giuliano T
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
IL LIBRO
"Un toscano a fianco di Garibaldi"

19/12/2010 - 10:15

 

L’idea di recensire  I Mille. Un toscano a fianco di Garibaldi di Giuseppe Bandi (Mauro Pagliai Editore, 2010) mi è venuta per aver visto il volume in esposizione in un’edicola, e che ho deciso di comprare, pur avendone già una vecchia edizione, per timore di vederlo intristire tra i resi invenduti.

Due parole sulla vita di questo straordinario scrittore. Giuseppe Bandi è un toscano, anzi, maremmano nacque infatti a Gavorrano (1834).  Trascorse una vita avventurosa tra gli eserciti regolari e le truppe dei rivoluzionari, ma ebbe anche il tempo di dedicarsi agli studi e laurearsi in giurisprudenza. Come mazziniano organizzò una rivolta in Toscana (1857) che fallì e gli costò due anni di prigionia. Fu poi volontario nella II guerra di Indipendenza e successivamente disertò per prendere  parte alla spedizione dei Mille nel 1860. Nelle fila dell’esercito regolare partecipò alla battaglia di Custoza il 24 giugno 1866 combattendo con onore, tanto da meritare la Croce di Savoia al merito, consegnatagli da Vittorio Emanuele; come riconoscimento ebbe anche il comando di un battaglione e il grado di maggiore che conservò nell’esercito regolare. Lasciò l’esercito nel ’70  per seguire la sua vocazione alla scrittura divenendo giornalista, dapprima come collaboratore della Nazione di Firenze e poi fondando a Livorno una sua testata: “Il Telegrafo”, divenuta oggi “Il Tirreno”, parte integrante della storia di Livorno e organo di informazione di notevole rilevanza. Importante è anche ricordare che a Firenze fondò la testata “La nuova Europa”: un’ iniziativa che va oltre la riscoperta dell’identità dei popoli e  la conseguente aspirazione all’unità nazionale, per allargarsi a una prospettiva di fratellanza europea.

 Scrisse anche diversi romanzi e I Mille è senz’altro il suo capolavoro.

 Accanito difensore delle nuove istituzioni nate dal Risorgimento,  Giuseppe Bandi si oppose con fermezza agli eccessi degli anarchici e finì pugnalato da uno di loro a Livorno nel 1894.  Francesco Crispi, allora presidente del Consiglio, annunciò la sua morte alla Camera e lo commemorò come suo valoroso commilitone nel campo di Marsala.

Stiamo quindi parlando di un personaggio che  appartiene al nostro passato non troppo remoto: a noi naturalmente vicino perché toscano, come ricorda Carlo Azeglio Ciampi nella sua prefazione al libro dichiarando tutto il suo apprezzamento per questa opera e il suo autore perché:

 

è un omaggio alla nostra amata Toscana:alla ricchezza e alla varietà delle forme letterarie che questa terra ha saputo esprimere nel corso dei secoli, dalle voci più alte della letteratura di ogni tempo a quelle più schiettamente popolari, ma capaci di trasmettere l’eco genuina e fedele di tradizioni, di usanze, di caratteri , di una comunità.

 

 Ma  è anche un testimone  in grado di risvegliare  la nostra consapevolezza storica di appartenere a una nazione e di rafforzare la nostra coscienza unitaria di italiani.

Ma veniamo ai Mille. La prima  considerazione riguarda il linguaggio dello scrittore; a prima vista lo  definiremmo  superato, ma il giudizio cambia mano a mano che si procede nella lettura.  È un linguaggio popolare, articolato, pieno di sfumature e di una sapida ironia tutta toscana che non risparmia nessuno.

­Valga per tutte le descrizioni di alcuni personaggi:

 

-Vedi- diceva vedi quel bell’uomo dalla faccia allegra che sta sbracciando e predicando?. Quello è il La Masa. Nel 1849 venne a Roma con cento prodi, e aveva in capo un elmo d’argento col pennacchio bianco. Lo chiamavamo il “Generale Enea” e parrebbe tale davvero se lo mettessimo in mezzo alle fiamme, con Anchise sulle spalle e i Penati in braccio. Quell’altro che pare un profeta, e che conta con gli occhi imbambolati i punti delle mosche nel soffitto, è il colonnello Sirtori, che fece cose di fuoco in Venezia. Era prete e in Parigi dette in ciampanelle; te lo do per un uomo di coraggio stupendo pieno zeppo di dottrina.

 

 Una scrittura perfettamente adeguata ad un racconto che non vuole essere un’epopea aulica e celebrativa dell’ eroe Garibaldi, ma il resoconto con la semplicità, la precisione e il realismo di un diario di campo di un protagonista che ha vissuto con passione  questa avventurosa impresa. Non manca tuttavia il respiro epico legato alla figura di Garibaldi, mitico eroe, ma di un Garibaldi legato alla storia, senza retorica.  Così come non mancano reminescenze di una cultura dotta non banale, filtrata e resa vivace dalla mediazione popolare.

Lo spirito di tutto il lavoro si coglie immediatamente dalle cadenze della prima pagina:

 

Vuoi tu, dunque, amico caro, ch’io ti racconti quel che videro i miei occhi ed udirono i miei orecchi nell’avventurosa corsa che facemmo da Genova a Marsala ne’ primi di maggio del 1860, quando saltò in testa a Garibaldi il ticchio di fare quella che parve da principio una gran pazzia, e fu giudicata di poi opera egregia e principalissima tra le sue più belle?

Io,pel bene che ti voglio, non ho il cuore di risponderti:no; ma t’ammonisco di non pretendere da me più che non possa darti un modesto gregario di quella schiera; il quale ascriverà a sua ventura se per la grande dimestichezza in cui lo tenne a que’ giorni (per sua benevolenza) il duce dei Mille, potrà narrarti qualche coserella che non si trova nelle moltissime storie che de’suoi casi si scrissero e si scrivono oggi più che mai.

Però non aspettarti da me se non una semplice e breve narrazione, senza ombra di pretesa e senza nugole di filosofia; racconto a te come racconterei a’miei figlioletti, nel cantuccio del focolare, in quelle serate d’inverno, nelle quali si novella patriarcalmente, more majorum. Né ti dorrai se il mio racconto ti parrà smilzo, perché faccio proposito di non raccontare se non quel che vidi

 

L’aspetto toscano del racconto che ho volutamente esaltato non deve far dimenticare l’intreccio dei linguaggi delle diverse regioni che si incontrano e si confrontano senza l’ombra di un pregiudizio. Il concorso di tutte le parlate regionali con i loro lessici depositati attraverso i secoli contribuì alla costituzione della lingua italiana e la spedizione dei Mille fu un importante momento catalizzatore.

Allo stesso modo, se ho insistito sugli aspetti ironici di questo racconto e il carattere picaresco dell’impresa, bisogna ricordare che Bandi sta sempre descrivendo una guerra, con i suoi aspetti sanguinosi, di solidarietà, ma anche di tradimenti, di ideali, ma anche di interessi egoistici. Bandi  ci descrive alcuni di questi episodi violenti per ricordare tutti gli eroi, quelli famosi come Pisacane e i fratelli Bandiera e quelli rimasti ignoti e per celebrare la gioventù di tutte le regioni della penisola che andò a combattere e a morire  per fare l’Italia, a partire dalla Sicilia:

 

Tutti avevamo nell’anima presagi lietissimi, tutti eravamo innamorati della Sicilia, e ci pareva gran ventura il poter morire per lei!

 

È impossibile ricostruire tutta la vivacità linguistica di questo testo con singole citazioni, verrebbe voglia di ricopiare tutto il libro. Basti dire che è una raccolta inesauribile di frasi idiomatiche, modi di dire, proverbi, aneddoti irriverenti e divertenti, una serie di racconti o di digressioni, intorno al filo principale della trama, ora drammatici, ora rocamboleschi: un mondo da scoprire. Ma indipendentemente dallo stile, questo libro deve essere amato,come ricorda ancora il Presidente nella sua prefazione, perché è il frutto  di una aspettativa e del conseguente impegno per un radicale rinnovamento verso

 

Una Nazione in cui un popolo possa ritrovarsi finalmente unito; Istituzioni democratiche che nascano dalla volontà di riscatto di un popolo; una più ampia  Patria europea dove si possa “essere uomini; uomini della stessa natura, quale che sia la nazione, la stirpe, la chiesa, lo stato e la classe; uomini liberi e uguali”.

 

Un futuro per la cui realizzazione molti sono morti e che oggi, nel  centocinquantesimo  anniversario dell’Unità di Italia si festeggia a parole, ma si distrugge con la politica.

 

 

 

 

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