Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
I LEGIONARI FIUMANI
Erano nazionalisti ed internazionalisti, conservatori e sindacalisti, monarchici e repubblicani, clericali ed anarchici, imperialisti e marxisti si sentivano chiamati dal poeta in difesa dei propri ideali di ribellione contro ogni ingiustizia; Fiume costituiva il simbolo di ostilità contro queste ingiustizie. A parte il Gen. Sante Ceccherini un nazionalista (campione italiano di spada del 1909) il quale a Fiume esercitava la funzione dell’autentico “cane da guardia del potere legittimo”. Il Gen. Corrado Tamaio soldato di talento, instancabile sempre presente dove il suo compito lo chiamava come nelle famose “cinque giornate fiumane”. Ma il militare, l’organizzatore e uomo politico a cui d’Annunzio aveva concesso per un certo periodo una fiducia incondizionata era il Magg. Giovanni Giurati Irredentista, presidente dell’Associazione Trento-Trieste, volontario di guerra, e Capo Gabinetto del Comandante e nazionalista convinto. Luigi Rizzo, l’affondatore della Santo Stefano e presente insieme al Poeta alla Beffa di Buccari. Henry Furst poeta e scrittore americano intelligentissimo e ricco di fantasia, si occupava della propaganda fiumana all’estero conoscendo perfettamente 6 lingue, sottotenente onorario della “Legione Dalmata” repubblicano convinto. Leone Kochnitzki era il più estremista di tutti, uno scrittore belga di origine russa era addetto all’Ufficio Relazioni Esteri al Comandante di vocazione marxista, definito dall’ Ammiraglio Enrico Millo un vero bolscevico. Guido Keller il più irrequieto di tutti, fu uno dei primi italiani a conseguire il brevetto di pilota che con il suo raid aveva lasciato cadere sul Vaticano una rosa bianca e un Montecitorio un pitale. Data la sua audacia era conosciuto per saper unire gli individui più diversi e politicamente avversari irriducibili, era un anarcoide che credeva solo in d’Annunzio e nell’umanità. Pier Filippo Castelbarco capitano, patriota convinto egli incarnava la nobiltà d’Italia. Ma gli uomini che guardavano a sinistra costituivano, una buona parte dei consiglieri politici del Comandante. Il Cap. Eugenio Coselschi mutilato di guerra pluridecorato, poeta toscano con funzioni di segretario particolare del Comandante. Lodovico Toeplitz de da Grand Ry poeta, era considerato da tutti la personificazione del segreto, ma quando poteva metteva subito al corrente d’Annunzio. Antonio Widmar poeta fiumano che non riusciva a capacitarsi perché tanta gente era accorsa in aiuto del suo Comune. La migliore gioventù d’Italia era corsa a Fiume per riconfermare alla presenza di d’Annunzio il proprio desiderio di lotta. Ecco perché in prima fila si trovarono i più valorosi come Elia-Rossi Passavanti, Ernesto Cabruna, Antonio Locatelli, Igliori ed altri costituiva quel manipolo d’intrepidi disposti a tutto. Mario Carli capitano degli Arditi, che poi in seguito allontanato da Fiume per ordine dello stesso d’Annunzio. Carli, che non fu un personaggio trascurabile, aveva fondato a Fiume il giornale “Testa di Ferro” raggiunta Milano dove, insieme a Cesare Cerati, continuò a curare la pubblicazione del suo periodico, svolse una attiva propaganda a favore per la causa di Fiume. Anarcoide e repubblicano di fede, aveva aderito inizialmente al movimento fascista, abbandonandolo però quasi subito per l’orientamento reazionario assunto dopo il congresso del Maggio 1920. Convertitosi all’idea monarchica diede vita nel 1922 al periodico “Il Principe” che diresse insieme ad Emilio Spinelli. Mario Carli assieme al Cerati e a Stefano Canepa, uno dei rappresentanti di d’Annunzio a Milano, unitamente agli anarchici Annunzio Filippi e Aurelio Tromba, furono gli unici in Italia ad ideare un tentativo insurrezionale contro l’attacco armato del Natale di sangue. Il piano che, doveva impedire l’esecuzione del Trattato di Rapallo, prevedeva la distruzione della centrale elettrica di Milano le cui conseguenze avrebbero consentito ai congiurati di approfittare dell’oscurità per fare altri attentati seminando il panico in città.
FIUMANESIMO
Che cos’è il Fiumanesimo? Esso non può venir considerato come frutto di una elaborazione filosofica e tanto meno di una dottrina politica; maturato spontaneamente dall’impulso dell’associazione di più individui che hanno sentito il bisogno di provvedere alle necessità immediate della collettività, esso si è sviluppato ed è andato rafforzandosi nel corso del tempo acquistando una sua fisionomia sociale, che tradotta in costume di vita, ha assunto la funzione di ordinamento, liberamente accettato ed osservato da tutti i componenti del nucleo cittadino. Una società instaurata sul principio del diritto, della reciproca solidarietà e della partecipazione comune di tutti i componenti alla prosperità sociale. Frutto dell’emancipazione e dell’alto grado di civiltà, il Fiumanesimo è stato realizzato senza sussulti, senza conflitti politici o lotte intestine, ma attraverso il mutuo consenso e la spontanea, entusiastica partecipazione di tutta la popolazione. Un senso di serietà era dato dall’appartenenza al Consiglio Municipale che non costituiva per altro e privilegio alcuno, anzi i consiglieri, considerati cittadini preposti al servizio della comunità,avevano l’obbligo di presenziare a tutte le adunanze pena l’ammenda pecuniaria nel caso di assenza non motivata da gravi ragioni di salute.
IL NAZIONALISMO SECONDO D’ANNUNZIO
D’Annunzio nazionalista, si, certo. Nel 1918 e nel 1919 chi più di lui rivendicò intransigentemente la letterale applicazione del Patto di Londra (più Fiume) e degli altri accordi stipulati durante la guerra con gli alleati? Chi più di lui sostenne l’italianità di “tutti gli altari latini del litorale e delle isole, dove la nostra anima non vede sul leggio se non il libro chiuso, sgraffiato dall’unghia del leone” veneziano? Ma nazionalista in senso proprio, partitico, è difficile definirlo. Per i Federzoni, per i Corradini, per i Rocco, così diversi in tutto da lui, aridi, diplomatici, veri cani da guardia del sistema, egli non ebbe mai simpatia e, quasi certamente, non perdonò mai loro l’iniziale triplicismo e il sarcasmo che il giornale “L’Idea Nazionale” aveva fatto nell’ agosto 1914 a proposito del suo augurale inno alle armi della sorella Francia. Più che vero e proprio nazionalismo, quello di D’Annunzio fu un acceso patriottismo, in cui non mancavano echi risorgimentali, garibaldini e che era reso più ardente dall’esaltazione eroica della guerra combattuta, dal ricordo dei sanguinosi sacrifici e delle sofferenze di tanta gioventù, e dal vedere tutto ciò dimenticato e addirittura sprezzato dagli alleati di ieri, mentre il governo, la classe politica sembravano tornare all’ordinaria amministrazione e non solo non difendevano i diritti dell’Italia, ma non capivano che, “fra quel di antico è da conservare e quel che è di nuovo è da acquistare”, questa, L’Operaia infaticabile (come chiamava d’Annunzio l’Italia), si apprestava, voleva sollevarsi di sul suo travaglio, voleva cioè rinnovarsi profondamente. Un nazionalismo insomma, tanto acceso quanto personale, che confusamente riusciva però a cogliere e riassumere stati d’animo, irrequietezze e aspirazioni spesso contraddittori e irrealizzabili nella realtà. Un nazionalismo che nel clima fiumano avrebbe finito anch’esso per assumere un nuovo volto. Basta per rendersene conto leggere il libro violetto del Comando fiumano, gli atti e gli appelli dell’Ufficio Relazioni Esteriori e in particolare l’ultima parte del discorso dannunziano “Italia e Vita” del 24 ottobre 1919 :
“Tutti gli insorti di tutte le stirpi si raccoglieranno sotto il nostro segno…E la nuova crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri e liberi, contro le nazioni usurpatrici. Ogni insurrezione è uno sforzo d’espressione, uno sforzo di creazione”
Tutte prese di posizioni che spiegano bene perché Federzoni nelle sue
memorie abbia tacciato il fiumanesimo di bolscevismo
GRAMSCI SULLA QUESTIONE FIUMANA
Come notò Gramsci le ragioni del successo dell’avventura fiumana furono diverse. Vi era, prima di tutto, l’apoliticità fondamentale nel
popolo italiano che come sappiamo si manifestò molto chiaramente nel dopoguerra con l’antipartitismo, vi era la facilità con cui la piccola
borghesia intellettuale subiva il fascino del genio e degli avventurieri. Inoltre l’avventura fiumana elettrizzò ancor più i giovani che con la
guerra erano cresciuti o si erano maturati. Lo spirito guerriero era per loro come una droga che non sapevano liberarsi. C’era poi ancora, la repulsione dei giovani combattenti a rientrare nella routine della vita quotidiana, dove essi avrebbero perso il loro spregiudicato modo di vivere ardito fuori delle convenzioni, liberi e sprezzanti del presente, ribelli all’ordine che soffocava con la sua pesante mediocrità ogni conato di innalzamento morale e di vero progresso
umano. Fiume rappresentava per molti la prosecuzione del clima di festa cioè la sospensione delle regoli normali e di annullamento delle
dimensioni usuali fra realismo e idealismo, fra arte e vita, fra letteratura e politica, fra rivoluzione ed avventura. Questa psicologia era già in d’Annunzio che, alla vigilia dell’intervento aveva affermato:
Noi respiriamo non so che ardore di miracolo, dove si avvicendano in una sorta di balenio la verità e il sogno, la vita attuale e la più lontana favola.”
A Fiume si realizzava l’Utopia, in un’aria di prodigio continuo, dove l’entusiasmo era di rigore. Lo stesso futurista Mario Carli era accorso a Fiume per trovarvi: “il senso della libertà personale, della disciplina spontanea, della supremazia della spirito.”
Il 6 gennaio 1921 Antonio Gramsci scriveva su “L’Ordine Nuovo”
“L’onorevole Giolitti, in documenti che sono emanazione diretta del potere di Stato ha più di una volta, con estrema violenza, caratterizzato l’avventura fiumana. I legionari sono stati presi come un’orda di briganti, gente senza arte né parte, assetata solo di soddisfare le passioni elementari della bestialità umana: la prepotenza, i quattrini, il possesso di molte donne. D’Annunzio, il capo dei legionari, è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della Patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile. Ai fini di governo sono stati scatenati i sentimenti più intimi e profondi della coscienza collettiva: la santità della famiglia violata, il sangue fraterno sparso freddamente, la integrità e la libertà delle persone lasciate in balia di una soldataglia folle di vino e di lussuria, la fanciullezza contaminata dalla più sfrenata libidine. Su questi motivi il governo è riuscito ad ottenere un accordo quasi perfetto: l’opinione pubblica fu modellata con una plasticità senza precedenti.”
a cura di
Andrea balestri