Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Gli "occhi blu" della foto sono quelli di una fantomatica svedese in un fotomontaggio di un filmato che accompagnava lo spettacolo che il Parco presentò l'anno scorso al Teatro del Popolo di Migliarino in occasione del suo trentennale e per onorare un grande migliarinese, Silvano Ambrogi, che aveva portato alla celebrità il nostro litorale e il territorio, spettacolo recitato da un grande attore: Claudio Lobbia.
Quelli verdi sono parte integrante di una coprotagonista di un libro di Silvano del quale eccovi la scheda:
“Pottapia” di Silvano Ambrogi, Feltrinelli edit. 1970
Mentre l’Italia celebra il suo centenario (la famosa Breccia, Roma Capitale, la Patria unita) un alto e massiccio toscano, boscaiolo semianalfabeta e fidente nelle autorità, ma ricco di umori e di reazioni, proprio la sera prima del XX Settembre, alla vigilia della sfilata, si trova improvvisamente mescolato a una folla intenta a portarsi via il Colosseo pietra su pietra. con l’incoraggiamento e il plauso dei governanti che hanno istituito per l’occasione uno speciale carnevale settembrino. Il bersagliere ha un bisognino da soddisfare (un goccio d’acqua ripete lui stesso pudicamente e disperatamente), ma incontra ostacoli continui e imprevedibili che si sovrappongono, in modo assai significativo, all‘adempimento di questa pur elementare esigenza. Tutto il libro (dipanandosi su questa attesa fisiologica che nel finale proromperà incontrollata, ogni cosa dilavando e dissacrando) è trascritto sul livello della pura percezione linguistica e semantica del protagonista, che deforma, reinventa, annulla il paesaggio verbale (nazionale, dialettale) con cui viene a contatto e attraverso cui la realtà circostante si rivela, scompone, sovrappone. Con la sua furibonda e ilare aggressione alle mille retoriche nazionali, questa smagliante satira (Il libro del Controcentenario), sommuove e sgretola con terrificante disinvoltura, come fa la folla festaiola con le pietre del Colosseo, tutte le convenzioni storiche e linguistiche e le formule repressive di una classe dirigente il cui fallimento complessivo non è apparso mai così evidente come dopo cent’anni di unità nazionale.
Dal capitolo: “Fischietto a carezza”
Siamo appena all’inizio delle disavventure del bersagliere (in libera uscita e in divisa) che incontra una guardia (già conosciuta e dalla quale è già stato multato) che “estrinseca le sue funzioni” - multandolo di nuovo- sul modello prescritto dove lei dovrà apporre la sua propria firma nel riquadro apposito”.
[…]Mi pare mezzora che sta ziocannibale a scrivere la multa e non rialza neppure il capo dalla carta tanto ci si mette d’impegno, che quasi mi conviene scrivere qualcosa anche a me... magari riprendo la lettera da scrivere a Renata, forse è proprio la cosa migliore... “Che fa, verbalizza anche lei?” “No no.., scrivo alla mia fidanzata. . “Desista” “Non ho capito...” «Desista... che significa desista?! Desista. »
Qui inizia un discorso interiore che dura tre pagine, ma che si legge tuttodunfiato!:
Non ho mica zioaquilone capito cosa vuol dire quella parola lì... e mi vergogno ziopassero anche a chiederglielo perché la figura può diventare anche peggio così... “desista” deve essere una di quelle prigioni con un buco di finestra e il ferro a croce, verso quei posti laggiù del Medio Oriente dove le schioppettate attraversano ogni poco la stanza che il paese mio è meglio me lo dimentichi per sempre... la migliore forse sarebbe scrivere qualcosa che non sembri punto una lettera... così se mi scoprono sto con le spalle coperte, perché non ho scritto roba fuorilegge... e l’unica allora è provare con una canzone, che propriamente le parole non sono neppure impossibili a venire se uno ci pensa un momento… per esempio con la negra dagli occhi verdi ci potrei mettete subito tra le mie braccia non ti perdi... che si è accomodata già una rima da canzone... la scrivo qui sul foglietto poi la riaggancio a qualche altra rima che mi viene in mente… credevo che in tutti i posti che ci sono sulla Terra non esistessero occhi così… questo come verso mi sembra un po’ troppo lungo e andrebbe magari tagliato in due proprio nel mezzo anche se poi o il primo tronco o quell’altro non stanno in piedi quasi per niente... bisogna che impari ad andare accapo al momento giusto, così mi viene tutto più veloce, dovevo proprio venire al Colosseo e vado accapo per scoprire i tuoi occhi verdi e rivado accapo che nel guardarli quasi ti ci perdi... questo magari l’ho detto prima ma nelle canzoni si usa così, che la stessa rima la intoppi proprio poche righe più sotto… dunque gli occhi verdi... gli occhi verdi... ora bisognerebbe tirare fuori qualcosa di un po’ più grosso... sono forse gli occhi della Patria e vado accapo che ti vedono anche se tu non li vedi… no no no ziosbracciato, sono diventato matto come un cavallo a inventare dei garbi di questo tipo... basta che mi veda la guardia che confondo la Patria con una negra dagli occhi verdi e la galera a vita è sicura come la morte… no no no cancello subito, anzi lo strappo e lo pesticcio qui sotto la polvere che non lo scopre più neppure un cane poliziotto… bisogna ora che mi metta a schiodare qualche altra rima sennò la cosa si ferma lì… occhi che non costano niente e vado accapo basta guardarli e vado accapo e ti arricchiscono immediatamente e vado accapo e non c’è bisogno di sole e vado accapo né di scuole e vado accapo né di allodole prataiole e vado accapo… mi sono venute ziosaetta una carrettata di rime rotoloni una dietro l’altra che mi pare quasi impossibile col ricordo della faticaboia che mi piglia quando devo scrivere una lettera normale… vedi ziobarone che non mi trovo in una situazione di tutti i giorni, perché le canzoni mi sono venute solo qualche volta in sogno come certi pezzi di poesia per via di quelle che avevo imparato a scuola… allora non sarebbe proprio una cosa vera se sono dentro a un sogno, e anche la guardia non sarebbe vera e potrei prenderla a pedate nel culo per mezzora di seguito che tanto il rapporto non può arrivare dal sogno finto al tavolo vero del colonnello… ma mettiamo che mi piglino legato per buttarmi in qualche fossa d’acqua sporca in fondo al burrone sotto il temporale della pioggia che grandina, anche se sono infilato tutto nel sogno ci sto lo stesso male da piangere... percuiepercome conviene sempre comportarsi da bravi ragazzi, come dice sempre il tenente che per noi è come un padre, e cosi non avrete da lamentarvene... certo se fosse un sogno potrei anche aprire lo sportello e lasciare andare tutto il goccio d’acqua che mi dà fastidio da quando sono entrato qui dentro ma anche fossi nel sogno appunto è capace ziopovero succede che la faccio davvero e mi piscio a letto così domattina c’è da far ridere tutta la camerata, se non di peggio perché possono pensare che faccia finta di avere qualche malaccio per non fare più il soldato che questa non è una cosa vera neppure uno zero… però ziovitello succede sempre così, che indovino solo i sogni bischeri dove sono bersagliere semplice com’è davvero, invece di essere colonnello da levarsi almeno in sogno qualche soddisfazione…
Il "romanmigliarinese" Silvano Ambrogi, l’autore del libro cult Le svedesi, colui che dopo la dipartita dal nostro amato paese prima e dal mondo terreno poi, ha voluto che sulla sua lapide alle Pratavecchie vi fosse scritto ”Finalmente sono ritornato di qua dal Serchio”, una qualche gran soddisfazione la diede a me quando lo incontrai verso la fine del 1990 a casa mia, dove mi regalò un suo libro in cambio di uno mio e di foto della sua “Bocca di Serchio”, elogiandomi per lo spirito e la forma che avvicinava le mie “parapotte” alla sua “Pottapia”.