Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Bocca di Serchio
Un cantuccio di pace, come pochi ce ne sono rimasti.
Sfocia sul mare, questo fiume bizzarro, dopo molto errare e dopo molto peccare, in una calma grandiosa e composta. Non si dimentica più, se si è veduto, al giungere, in un’alba chiara, tutta sfumature d’azzurro, questa foce deserta, ombrata di pinete. Visione cara, come quelle cose tutte cui è molto costato giungere; s’arriva madidi di sudore, ma con la fronte serena. Sabbia, sabbia e sabbia.
Passo grave, mai un piede sul sodo; cedono le dune, irte di pagliole bruciate, cede la battima che ha solo un’apparenza di durezza e che ingoia il piede, con una cedevolezza che uccide. Ma il mare, di fianco, il monte che ci addita il cielo con le sue guglie di pietra, le pinete che si allungano, sfumando all’infinito... quali incitatori!...
V’è la piccola Marina di Torre del lago, eppoi spiaggia deserta, ove si sazia quella sete di solitudine che arde l’umanità stanca di fragore.
Un lido bianco di nicchi, orlato dalla sinuosità oscura del lavarone, spurgo di fiumane, straccato a riva dalle correnti, ove passeggiano rapide ed eleganti schiere di alati.
Hanno nomi buffi e pittoreschi: piri-piri, fratini, corrieri, voltapietre, calidre, piovanelli… e l’uomo, per fortuna, vi è raro.
Solo in agosto e in luglio strani bivacchi di contadini calan giù dal monte o di padule e prendono i loro bagni, spogliandosi dietro improvvisati schermi di frasche e di canneggiole. Spesso si vede, da lungi, una figura strana che si muove lenta, con l’acqua insino al petto, camminando all’indietro, in brevi stratte.
E’ un pescatore d’arselIe, o di nicchi, come dicon là, che sta in acqua tutto vestito, trainando il suo rastrello a rete, con la martingala di tela, passata attorno alla vita. Esce dall’acqua dopo ore, vacilla... è un paniere che gronda! E allora si vede, spesso, che quel pescatore dai calzonacci a sbrendoli, pesi d’acqua, è una donna... povera creatura invecchiata anzitempo, d’età incerta, tipo bizzarro fra il lappone e pescatore delle lande brettoni.
Eio-- tototò...
Vocine lamentose passano come animucce vaganti. Sono i corridori della battima che s’alzano a volo e radono bassi l’onda, ad ali falcate, per andarsi a rimettere sopra una lingua di rena che sporge e nereggia. Si vedon di lontano i puntini bianchi dei petti, spiccare al sole, muoversi, sparire, riapparire.
Si va innanzi.
Un animale enorme s’eleva su una punta di spiaggia e spicca nell’azzurro cupo dell’orizzonte. Enorme? No, è uno scherzo dell’irradiazione solare, è un gabbiano argentato che banchetta con una carogna di muggine straccata a riva. Sta immobile, di profilo, contro il cielo e guarda con l’occhio, di lato, il disturbatore che s’avanza; protende un attimo il capo, stende il remeggio delle vaste ali, s’appoggia sul vento e sale.
In fondo, la spiaggia s’interrompe in una breve barra cerulea: la foce.
Le fa corona una cintura bianca, che pare un armento a pascolo sul mare. Ci si accosta, e quel gregge prende il volo e turbina nel cielo. Un branco di gabbiani che stava immobile sui banchi di rena.
Protestano, girano a tondo, risalgono il corso dei fiume, doppiano le cupole verdi di S. Rossore, spariscono.
Così si giunge alla bella foce selvaggia, tra verde ed azzurro. La sponda reale è grandiosa e austera; folte di pareti di verzura si protendono sulle rive e danno un’illusione di tropico.
Una rete immensa si profila nel cielo; un rete quadrata, ampia come il letto del Serchio e v’è una baracca di pochi assi. Unico segno di attività umana. Un barchino nero, simile a una canoa indiana, scivola lungo la sponda e sparisce.
Due proibizioni si fronteggiano, salde custodi di tanta verginità:
S. Rossore, Migliarino: Potestà Reale, potestà ducale.
Un angolo fatto per il riposo e per il sogno, ove si scorda il mondo e il suo fragore: fiume, mare, cielo e foresta si fondon in un poema. Questa irrequieta fiumana, rea, a monte, di tanti lutti e rovine, termina il suo corso in serenità da idillio. I migratori del cielo vi si danno convegno.
All’alba vi sostano trampolieri gravi e solitari: aironi cenerini, aironi purpurei, nitticore e tarabusi, eretti nei lunghi colli snodati, zampe eternamente vigili. Sostano immobili, solenni, sopra una zampa sola, riposando e sonnecchiando. Sì buttan germani e germanelli, sulla foce, v’è anche un cesto per le cacce primaverili, nella zona neutra, in mezzo al fiume.
Vi capitano, poi, autentiche rarità del mondo alato: beccacce di mare, cavalieri d’Italia, piovanelli maggiori, teretrie; e vi son fermeti, cigni, cicogne e perfino i pellicani!
E chi ci viene quaggiù?
Due razze di primitivi: cacciatori e pescatori. Affrontando il deserto di rena, o scendendo il fiume in barchino. Gente che parla poco, che sbarca, tende le stampe, s’imbuca e aspetta; o che disnoda una sciabica, a modo, con ordine e misurata parola, ritira, raccoglie e se ne parte.
Ritorna la solitudine.
Luigi Ugolini, grande giornalista e scrittore di racconti di caccia e attento ricercatore di luoghi incontaminati, scrisse questo articolo per "Il cacciatore italiano" n° 34 del 21 agosto 1932.
Ho cercato di accompagnare con acune foto, riportate in bianco e nero per ricreare quel momento, il vecchio viaggiatore nella sua passeggiata che ognuno, oggi, può riassaporare con alcune "necessarie" variazioni che nulla tolgono, almeno in certi periodi, alla vera Sua Natura che qui vi ha scritto un "poema", come dice l'Ugolini.