Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Domenica scorsa c’è stato un primo assaggio di bella stagione. C’era il sole, un sole già tiepido, ed anche la temperatura era quasi primaverile. La gente ha subito odorato aria di primavera (ma l’inverno purtroppo non è ancora finito e ci riserverà ancora amare sorprese), ed è uscita in massa dalle proprie abitazioni. Lo si è potuto vedere dalla enorme quantità di auto in circolazione su tutte le strade. I semafori verso Pisa formavano, tutti indistintamente, lunghe colonne di veicoli.
Pensavo fosse una giornata troppo bella per starsene chiusi in casa fino a che non sono passato davanti al grande parcheggio di un centro commerciale e mi ha non poco stupito il fatto che fosse strapieno di auto in sosta.
Possibile, mi sono chiesto, che in una bella giornata come questa, una prima giornata di sole con temperatura mite, un primo assaggio di primavera (e i fiori e le piante lo hanno già avvertito, prima di noi) la gente decida di passare il pomeriggio all’interno di un negozio? Decidere cioè di trascorrere quelle poche ore di libertà dal lavoro con la famiglia e con i figli davanti a degli anonimi scafali di un anonimo esercizio commerciale?
Che i Centri Commerciali siano veramente il nostro futuro come qualcuno continua ad affermare?
O forse l’acquisto di cose inutili o poco utili, o certamente non indispensabili, serve per avere una piccola soddisfazione personale, un po’ di quella gratificazione personale che abbiamo perso con i figli alla continua ricerca di un lavoro che non c’è, con la crisi economica che ci opprime, con il peggioramento dei rapporti personali con i nostri simili e con il costante allontanamento dai cittadini di una politica che sembra vivere in un’altra dimensione.
Ad ogni acquisto anche la ricerca della giustificazione per il senso di colpa che ci assale sapendo benissimo di avere acquistato cose inutili, insignificanti, di scarso o nessun valore, doppioni di cose che abbiamo già e ancora funzionanti di cui avremmo potuto fare tranquillamente a meno.
Il carrello pieno di sciocchezze è forse il nuovo simbolo di questa società? La società dell’abbondanza, del ridondante, dell’eccessivo oltre che dell’inutile? Magari in questo mondo improntato alla competizione anche per dimostrare inconsciamente agli altri che possediamo, che possiamo spendere, che siamo felici in proporzione naturalmente alla quantità di roba che abbiamo stivato nel carrello?
Una ben triste fine per un popolo un tempo famoso per la sua spensieratezza, per la sua cordialità, per la sua tolleranza verso gli altri, per la sua intelligenza, per il suo grande valore artistico.
Oramai non aspiriamo più a grandi imprese, non abbiamo più grandi ideali, non abbiamo più neanche grandi progetti ma ci accontentiamo di essere soddisfatti dall’acquisto di una brutta copia
di un modellino di Fiat 500 fatto malamente in Cina o dalle 500 o 5.000 lampadine che si accendono e si spengono per decorare il nostro albero di Natale.
Stiamo oramai perdendo, oltre il lavoro, i diritti sindacali, la cultura e l’istruzione falcidiati dai tagli governativi e da una televisione becera e opprimente piano piano anche la nostra dignità di cittadini, barattata con la corsa domenicale all’ammasso rumoroso in uno di questi nuovi santuari del progresso.
Lungo il litorale ancora ressa, più ordinata però questa volta, e senza file alla cassa.
Mamme e nonne con bambini piccoli al seguito, fidanzati che si tengono per mano, coppie sposate con le donne avanti che parlano fra loro e dietro i mariti, pronti a fermarsi se lungo la strada capita un negozietto interessante che stimoli la curiosità femminile. Un quadretto migliore, che sa di buono, una passeggiata per stare insieme senza la necessità di portare a casa niente, magari un gelato da consumare sul posto. Una domenica per tutti.
Ma l’orario del rientro arriva presto e arriva anche improvvisamente. Non è la stagione estiva che permette un rientro scaglionato, fino a tarda ora. Alle cinque tutte le auto si mettono in moto e decidono di rientrare.
La fila diventa subito chilometrica, l’attesa lunga e snervante, la pazienza viene fortemente messa alla prova e con l’amarezza di tutto questo tempo sprecato in coda nasce anche la consapevolezza che il futuro dello spostamento dei cittadini non può rimanere ancora a lungo legato alle auto.
Servono nuove idee e nuove strategie, una programmazione pubblica che guardi al futuro non legandolo più all’automobile ma ad altre forme di mobilità.
Non serve programmare nuove strade e nuovi parcheggi perché se le auto continuano ad aumentare con il ritmo attuale la soluzione del problema viene solo rimandata, solo spostata di qualche anno in avanti, mentre quella giusta è creare le condizioni per una positiva inversione di tendenza che spinga i cittadini ad usare i mezzi pubblici.
Serve un progressivo allontanamento dall’auto e la strategia più utile forse non è tanto quella della costrizione o dei divieti inutili e anacronistici, ma quella di una progressiva sensibilizzazione sull’uso del mezzo pubblico (che naturalmente dovrebbe rispettare le attese ed essere di costo minimo o anche nullo per il cittadino, in questo modo premiato) e di scoraggiamento dell’automobile con l’introduzione di limitazioni sempre più stringenti ed eventualmente ticket di accesso come in molte città europee.
Inoltre piste ciclabili, ciclovie urbane, metropolitane di superficie, recupero di vecchie vie su rotaia da tempo dismesse, accessi e percorsi preferenziali, postazioni fisse di biciclette pubbliche, auto a nolo e tutto quello che la fantasia dei nostri amministratori può ricavare dai numerosi esempi di città europee a cui, prima o poi, nonostante il nostro ritardo culturale, dovremo pure somigliare.
Un cambiamento culturale che tarda a venire, un nuovo modo di guardare al territorio già ben presente in una parte più lungimirante e attenta della popolazione, in grave ritardo purtroppo in una parte di cittadini più legati a modelli ormai vecchi di mobilità.
Una nuova strategia di mobilità che purtroppo fa ancora fatica ad emergere proprio dove potrebbe essere più utile: nella mente e nei progetti dei nostri pubblici amministratori.