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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Pasquale Pasquino
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di Tonino Serra Contu
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di Tonino Serra Contu
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dal Pensiero Prismatico.(post tutto da leggere di Ermes Antonucci).
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di Ylenia Zambito, senatrice
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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Freddo vento pioggia neve gelo ed influenza
si accendono e si spengono come le lucine a intermittenza
di piazze strade vie vicoli e viali cittadini. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Renò

27/1/2011 - 10:05


Risiamo in San Rossore.

Renault, per i marinesi Renò, era stato il comandante delle guardie venatorie di San Rossore.

La schiatta dei Renault era stata importata dalla Francia da Vittorio Padre della Patria. L’aveva prelevata dal vivaio di grandi servi cacciatori, da Fontaineblau o da Chantilly, oriundi dei grandi Chefs-chausseurs di Luigi XIV e dei napoleonidi.

Renò, messo in pensione, fremente per non potere più esercitare la sua interiore passione (quando era assente Re Vittorio, ogni schioppettata era inibita in San Rossore, perfino ai nocivi) aveva preferito traversare I ‘Arno e portare baracca e burattini a Marina, acquistando un villino in Piazza Baleari.

Come tutti i Renò, (e loro propaggini) portava una fluente barba, e il sombrero grigio su cui erano infisse tutte le penne rappresentanti l’avifauna di San Rossore.

I Renò, (non per nulla li aveva un Sovrano supersessuato) avevano nel sangue, oltre che il pallino venatorio, altresì il pallino  amatorio. I Renò procuravano ai loro sovrani rustiche battute al cinghiale, e non meno rustiche battute alle daine (daine in gonnella!), contentandosi degli avanzi del festino, che erano tuttavia (o che fossero un prosciutto o che fossero una coscia) avanzi da non sottovalutare! Larga messe di pupi… morganatici, avevano lasciato (nelle masserie) i Savoia e i Renò. Non vi era cascina in cui il capoccia, non vantasse tra le sue discendenze, qualche fanciullo nato  col pizzo o nato colla barba, come dicevano. Quel fanciullo era tale da assicurare la benevolenza sovrana (e quella guardiatica) in quella cascina in cui era nato e amorevolmente allevato. Era come un piccolo (e ignaro) nume-tutelare del nido in cui il regale-cuculo, lo aveva depositato. Con questo requisito in favore dei Renò: che quando la parte del cuculo l’avevano fatta loro, avevano anche il vantaggio di non pagare una lira di baliatico. Infatti a questo ci pensava l’amministrazione delle reali-tenute. (Doppiamente ... cuculi questi Renò!!)

 

Dunque il Comandante, messo in pensione, era venuto a Marina, la quale, allora, non è che presentasse i vantaggi venatori di San Rossore, ma, in cui in compenso, era la caccia-libera, senza le pastoie e la responsabilità delle  cacce sabaude. Per di più, allontanandosi dalle Cascine dove crescevano i suoi pupi-colla-barba, poneva tra essi e i propri rimorsi, la larga distesa dell’Arno.

A forza di stare in San Rossore, il Comandante aveva imparato a frammischiare l’eloquio erre-moscio delle Tuileries, al moccoletto toscano. Succedeva così che, quando spadellava una beccaccia aggiungeva un chien al toscanissimo dio, salvando cosi (con un espressione bilingue) la vergogna di smoccolare ohibò) in solo puro pisano. Unica variante: in gallico, era pronunziato   Dieu: toccava allora al cane (in italiano) di seguire alla divinità! Magari aggiungendoci un «parbleu» per ingannare l’acustica dell’interlocutore.

Il Comandante portava in capo un cappello a padella e sulle spalle uno li quegli schiopponi che si usavano sugli ultimi dell’800. Lungo e segaligno lui lunghissimo lo schioppo, grossissimo e tarchiato ii bracco: a vederli incedere da lontano, sembravano una spettrale visione del Cervantes alluminata dal Dorè.

Il vegliardo (a parte l’aria guascone) era benvoluto da tutta Marina, fuorché dai suoi scaccioni che gli rimproveravano una tirchieria scozzese. E questi episodi me li narrava Sandrino Ammanati che era, a quei tempi, uno scaccione sedicenne o giù di lì. In tale epoca infatti, Renò soleva farsi accompagnare alla macchia da tre o quattro garzoncelli il cui compito  era di circondare i selvaggi giardinetti di Tombolo e, da essi, snidare i merli per spingerli all’infallibile fucilata di Don Chisciotte. I quali garzoncelli, in un unico collettivo tascapane dovevano portare le salmerie.

Giunto il  mezzogiorno Renò si accampava e distribuiva il rancio alle truppe, che consisteva in un panino (con carne secca) a testa, e di una bottiglia di vinello acqua-ranta-gradi.

Erano giovanotti di fame arretrata, con le componenti di una mattinata trascorsa tra resina, salsedine, e maestrale. A costoro il panino faceva l’effetto di quella semi-mela che il visitatore di giardino zoologico affida alla proboscide dell’elefante: l’affetto era lo stesso. Meno male, che, di nascosto, si portavano un chilo di pan nero che essi “assimilavano” prima che il comandante suonasse la sosta al campo.

Alle 16, sonava l‘ora del «rompete le righe e della cinquina». Questa veniva liquidata “sur le champ” e consisteva in un soldino di rame a testa . “Allez vous-en,   mes garsons. C’est tout “ I garcons, appena scantonati dal viottolo di arbusti, facevano sentire il loro famelico urlo (tipo Tarzan) sul finire del quale un loro attento ascoltatore avrebbe potuto apprendere (in vernacolo pisano) certi dettagli sulla vita privata di madame la mère  del comandante.


Non meravigliatevi per le notizie amatorie di Renò e di Vittorio, anche se possono dare un piccolo spaccato di vita real cacciacoscia in San Rossore, ma per il fatto che, data la mia conosciuta passione per le cartoline d’epoca, si può avere una più chiara conoscenza di luoghi e persone nei piccoli rettangolini di cartoncino che tanti anni fa hanno viaggiato per il mondo.
Nelle foto si vedono paesaggi di San Rossore, ancor bene riconoscibili nonostante gli anni, ma dove le persone sono anonime, (escluse naturalmente Jolanda il re e il guardiacaccia Fiore) d’altra parte la cartolina è “paesaggistica”, tranne… quella con il cacciatore ed il cane (la prima).
Dopo avere letto l’articolo di Beppe Chiellini, detto Astianatte, tratto dalla sua opera “Mal di palle di ponte”, si può sicuramente esclamare:
“Toh!! Renò!!”

(la cartolina è viaggiata nel 1926)
 
 

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