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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Pasquale Pasquino
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di Tonino Serra Contu
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dal Pensiero Prismatico.(post tutto da leggere di Ermes Antonucci).
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di Ylenia Zambito, senatrice
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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Freddo vento pioggia neve gelo ed influenza
si accendono e si spengono come le lucine a intermittenza
di piazze strade vie vicoli e viali cittadini. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Esplosione in Regia bandita.

19/2/2011 - 23:35


Ancora uno scampolo del già citato: Cause celebri discusse dal Cav. Commendatore Giovanni Carmignani Pisa 1847 Fratelli Nistri librai.   

Questa volta il caso è riguardante l'uccisione di un "presunto" bracconiere (migliarinese) da parte delle Guardie di "San Russorio".

La difesa del Carmignani è per una delle guardie alla quale era stata attribuita "tutta" la colpa dello sparo mortale.

Mi scuso per la lunghezza, anche se lo scritto è solo una parte della difesa, ma ho ritenuto molto interessante questo episodio per la ricchezza di particolari a noi vicini  anche se lontani nel tempo.

Accusa di esplosione con omicidio in invasore di R. Bandita. Pisa li 10 febbraio 1838.

 Una triste e lacrimevole azione avvenne, nella mattina del dì primo ottobre 1837, nell’alveo del fiume Serchio, là dove le sue acque scorrono fra la R. tenuta di San Russorio e la tenuta di Migliarino, e rendono tributo al mare.

Sebbene si tratti d’azione sventuratamente storica, e non drammatica pure, per le circostanze le quali ritardarono la scoperta della sua vera causa, ella ha in molto carattere di drammatica, perloché  una gran parte dell’interesse che ella risveglia non permette di abbandonare, nel narrarla, la regola del colorito locale. La qual regola tanto più in questa causa è necessario osservare, in quanto che, per una bizzarria dell’accidente, incontrasi in essa il prodigioso fenomeno che le due opposte rive del fiume, divenute vocali, parlano sul fatto medesimo un diverso ed inconciliabil linguaggio.

Due vaste tenute giacciono sulle due opposte rive del fiume. La tenuta di Migliarino, proprietà del Principe Borghese, occupa la riva destra; la R. tenuta di San Russorio, proprietà de’ Granduchi Toscani, signoreggia la riva sinistra. 

Amendue le tenute sono bandite regie riservate al diritto privativo di caccia del Principe, imperante supremo in Toscana.

Amendue le tenute sull’una e sull’altra riva si estendono fino al mare, la spiaggia del quale è dall’una e dall’altra per lungo tratto occupata . Nelle grandi commozioni marine il flutto decumano giunge presso alle selve, che antiche e folte cuoprono colle lor chiome l’una e l’altra tenuta.

Albergano nella tenuta di San Russorio, e vi hanno permanente e grata stazione daini, cignali, lepri, fagiani, riservati ai divertimenti del Principe; e se licenze di caccia si danno per la tenuta di Migliarino, l’effetto di queste licenze non si estende alla facoltà di uccidere quadrupedi, o uccelli che non emigrano. I soli aquatici sono esposti alle mire od ai colpi de’ cacciatori.

 

La estensione della tenuta di San Russorio, confinata dall’Arno, dal Serchio, dal mare e dalla coltivata campagna di proprietà private della settentrionale sua parte, è più una provincia che una tenuta.

La tenuta di Migliarino, confinata dal Serchio, dal mare, dal lago di Massaciuccoli e dal padule di Vecchiano, è anch’ella di vasta, se non di maggiore, estensione.

I fiumi e i laghi che le costeggiano, e le dividono somministrano facilità ai clandestini, e furtivi ingressi di chi o amor di caccia ( più forte quanto più è vietato l’esercitarvela), o speculazione alletta ad entrarvi. Vegliano alla cura e custodia delle due tenute Guardie di questo nome , o Campaj custodi de’ prodotti del suolo, o Bestiaj incaricati della custodia del bestiame, che sciolto vi pascola, e vi si moltiplica sebbene non distinguansi, come con esatte terminologie gli distinser gli antichi.

Le Guardie della tenuta di San Russorio procedono armate. Le distingue stemma Granducale al cappello, il quale stemma però è portato come segno di attenenza al Regio servizio, da Campaj e Bestiaj.

Le Guardie della tenuta di Migliarino procedono armate, ma senza stemma al cappello. L’uso delle armi è appo loro subordinato all’assenso Regio, ed una delle loro attribuzioni è quella di guardar la tenuta dai trasgressori di caccia; al che ordini, che immediatamente dal Principe emanano, gli autorizzano.

 

Le pene delle Danaidi, quella di Sisifo sono un nulla al paragone di quella di Tantalo; il quale, assetato, ha l’acqua alle labbra; e se a sorbirla le labbra abbassa, gli fugge. Sembra che la mitologia abbia voluto dare una specie di traduzione degli effetti angosciosi di questa orribile pena in quella di Prometeo, che ha il rinascente fegato lacerato dal rostro dell’avvoltojo.

 

La tenuta di San Russorio, ricca di salvaggiume, è presso a popolata campagna, a popolati subborghi ed a popolosa città.  Ella è pe’ cacciatori, che molti sono all’intorno, l’acqua alle labbra di Tantalo, avidi sempre di entrarvi e cacciarvi. Le Guardie di San Russorio passano per dovere del loro uffizio il Serchio, perlustrano la tenuta di Migliarino, guardano le Guardie di quella tenuta, o perché  non vi esercitino la caccia, o perché non colludano co’ trasgressori.

Rare sono le abitazioni nelle due tenute. Ermi e solinghi vi sono boschi, le paludi, le pescine, i galanchi, gli sterpi, dai quali i luoghi prendono il nome loro. La notte vi stende sopra più cupe e più terribili le sue ombre Le Guardie, i Campaj sorgono, quando più folte sono le tenebre, dai loro letti per vegliare sulla tenuta, e sorprendere i trasgressori, che spesso in bande ed armati la invadono; e la giustizia e la polizia hanno notizie autentiche delle aggressioni, e delle esplosioni dell’arme da fuoco, alle quali frequentemente le Guardie si espongono. La vastità, la solitudine, il panico timore di que’ luoghi aumenta in chi deve guardarli la opinione de’ pericoli. La lontananza dei Tribunali fa nascere spesso la necessitài di supplire colle forze private alla mancanza delle pubbliche. Le frequenti armate invasioni de’ trasgressori, che gli esecutori di giustizia, a tempo avvisati, colla loro strategetica hanno spesso arrestato in bande, rendendo nelle Guardie necessario il coraggio, lo spingono talvolta sull’orlo della disperazione, colla quale, specialmente negl’idioti, è sempre a contatto.

 

Un fragore di più esplosioni nella mattina del dì primo ottobre 1837, prima che il sole sorgesse a illuminare l’orizzonte, fu udito sul Serchio tra le due tenute, nel punto in cui giacciono l’uno rimpetto all’altro il caterattino detto di Buffone, pel quale le acque pluviali della tenuta di San Russorio sgorgano nel fiume, e il porto del Lellone, cosi detto dal nome d’un agricoltore della tenuta di Migliarino.

Due uomini guadavano il Serchio dirigendosi dalla riva sinistra alla destra del fiume. L’uno, e il più lontano dalla riva sinistra, apparve ferito nel dorso: gittò grido di lamento non potè reggersi in piede, e stramazzato nell’acque fu dall’altro a stento fatto risorgere, e con l’ajuto di persone accorse tratto sulla riva destra, e posto sul letto dell’agricoltore vicino, ove nel dì 8 ottobre miseramente cessò di vivere.

Sia pace al suo spirito: sia al suo corpo leggiera la terra: una lacrima di compassione la bagni.

Adempito questo ufficio di umanità e di religione, la morte d’un uomo è per lo storico un fatto dell’ordine, o del disordine delle forze della natura, le sue parole mentre viveva sono per la critica una testimonianza, la quale ottiene, non dalla pietà che eccita il suo infortunio, ma dalle leggi della ragione, il grado di credibilità che nelle circostanze conciliasi.

De’ due guadatori del Serchio era l’uno Domenico Galigani abitatore della tenuta di Migliarino, agricoltore in quella tenuta medesima, dell’ età di anni trentasette per i trentotto: era l’altro Lorenzo Tozzi, agricoltore domiciliato a Malaventre, parrocchia alla tenuta di Migliarino contigua, di anni trentuno. Correva la stagione autunnale. È uso che in quella stagione le Guardie della tenuta di San Russorio hanno l’ordine di dar la caccia ai daini, per diminuirne la specie che a dismisura vi si moltiplica; alla qual caccia le Guardie muovonsi con fucili carichi a palla, projettile a quel cacciar necessario. Potevasi verisimilmente credere, che la ferita nella parte postergale del corpo d’un uomo in mezzo del Serchio fosse stata l’effetto d’una deplorabile casualità. Una esplosione, o più esplosioni simultanee verso un gruppo di daini lungo la riva del fiume potevano essere state dirette, ed una aver colpito, senza saputa dell’esplosore, quell’infelice.

Ma la verità si presentò, o credette potersi presentare, a distruggere questa benefica ipotesi della verisimiglianza: per la quale un uomo ferito in quell’ora intempestiva nel letto d’un fiume, in luogo disabitato, in prossimità di boschi, in mezzo a due tenute nelle quali poteano d’ogni lato venir le esplosioni, altro dritto nel proprio infortunio aver non poteva che ripetere il notissimo Chi é cagion del suo mal pianga se stesso.

Tant’è. Spesso a distruggere un verisimil credibile apparisce una incredibile verità. Il Fisco, in questo miserando caso, per meglio scuoprirla credé utile di trasferire il santuario della giustizia dal luogo ad esso destinato dalla legge in città, in mezzo alla tenuta di Migliarino. Colà furono prese le prime informazioni del fatto e delle sue cause.

Il ferito Galigani narrò, che levatosi di buon mattino nel 1° ottobre, giorno festivo, ed unitosi al Tozzi, s’incamminò con esso lui in traccia di pescatori suoi amici, da’ quali sperava guiderdone di pesce: che, fatto proposito di varcare il Serchio onde aver più corto lo incontro, lo guadarono al caterattino di Buffone, perocchè in più basso punto non sarebbe stato tentabile il guado.

E qui il Tozzi (se pure lecito mischiare alle triste cose le gaje), fa nascere in mezzo del fiume l’episodio d’un grosso pesce che guizza sotto gli occhi del Galigani, e il suo correre a prendere un legno onde mazzuolarlo e predarlo , contando  sulla sua docilità ad aspettar d’esser preso, a guisa del celebre rombo dell’Adriatico, che aspettava l’onore di passar pasto alla tavola di Domiziano.

Amendue i guadatori soggiungono, che in questo mentre si udì un numero di esplosioni d’arme da fuoco: vederonsi piovere le palle esplose nell’acqua del fiume, ed una in ultimo, disgiuntamente dalle altre esplosa, colpire il tergo del G.aligani.

Amendue narrarono esser venute le esplosioni dalla tenuta di San Russorio: dai fucili di più Guardie riunite rivolte contro di loro. Interrogati se si fossero nella real bandita introdotti, lo negarono: se fossero armati di fucile, il Galigani in principio disse esserne armato il Tozzi; questi negandolo fino a tacciare il compagno suo di delirio, variò racconto, e depose essere stati amendue disarmati. Interrogati amendue sul motivo che avesse spinte le Guardie a quell’atto di non necessaria utilità, manifestarono la loro opinione, che un antico rancore concepito dalle Guardie verso di loro per averle fatte punire di arresto arbitrario, ve le avesse determinate.

Alla domanda se altri fosse stato presente al fatto, negativamente risposero. Ma volle fortuna che quattro individui, due sulla riva destra, due sulla sinistra dei Serchio, gli uni veggendo, gli altri veggendo in parte, e in parte udendo, potessero fornir la storia del tristo caso.

Giovan Domenico Lomi e Pellegrino Cinacchi aggiravansi clandestini nella mattina del dì primo ottobre, sul far del giorno, fra le vetrici che vestono la riva destra dei Serchio, per tagliarle ad uso delle lor rusticali faccende. Essi udirono i colpi di fucile che partivano dalla sinistra riva vi scòrsero le Guardie, riconosciute da loro per gli stemmi, in atto di esplodere .

Domenico P....lli ed Antonio D...ti, compagni nell’incaminarsi su per un arginello della riva sinistra del fiume, e per la tenuta di San Russorio verso la Cappella del Fortino allo sbocco del Serchio in mare per atti di religione, udirono le fucilate: intimoriti, in un cespuglio appiattaronsi ascoltarono le voci ostili di alcune delle Guardie, non molto distanti tra loro: e dal lor nascondiglio le videro indi a poco passar loro d’appresso, dilungandosi dal male augurato loco, e le udirono insieme parlarne.

Ecco dunque sei storici del tristo caso, de’ suoi principali attori, delle sue circostanze di tempo, di luogo e di modo, imparziali tutti, e aventi credibilità appoggiata alla testimonianza de’ sensi.

Non è controverso, che il tristo caso avvenisse pochi momenti innanzi al sorger del sole. Non è da dire, che il primo albore non  apparisse ancora. [...]

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