Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Finalmente!
Era tanto tempo che non si vedeva così tanta gente in piazza!
Una folla enorme senza bandiere di appartenenza, senza gonfaloni di municipi, senza ufficialità e senza ufficiali a pontificare ma solo con cartelli fatti alla buona, con il cartoncino Bristol del cartolaio all’angolo, il lenzuolo vecchio rispolverato dallo stanzino, la carta perforata della vecchia stampante, lo scampolo colorato cucito in tutta fretta.
E tante, tante donne, colorate, chiassose, sorridenti. Uno spettacolo variopinto e rumoroso di persone che non erano in piazza per dovere di appartenenza, che non avevano dietro un partito che aveva sensibilizzato, mobilitato e organizzato e ma erano lì semplicemente per una loro autonoma decisione, con l’unico desiderio di essere presenti e per la volontà e il piacere di partecipare.
Forse anche per quel famoso detto del “c’ero anch’io” da lasciare in eredità ai nipoti. Per raccontare di quando finalmente, dopo un lungo sonno inerte, il popolo di un paese culturalmente impoverito e politicamente decaduto si era svegliato ed aveva deciso di dire basta, di dare un forte segnale di distinzione, di distacco, di lontananza culturale da una politica e da un modo falso di intendere la donna.
Semplicemente un intero popolo di donne che è sceso in piazza per sostenere la propria dignità, per rimarcare una distanza, per tornare a dare, con la loro stessa presenza, il giusto valore al loro ruolo di lavoratrici, di madri, di sorelle, di insegnanti, di assistenti ai disabili, di sussidio ai familiari infermi, di volontarie in organizzazioni umanitarie, di religiose impegnate in opere di carità.
Di donne comuni insomma, di persone normali che non vivono nella realtà delle feste, dei regali costosi, delle bustarelle, dei festini a luci rosse, del sesso in cambio di posti di lavoro o di carriere politiche ma in quella molto più reale dei problemi quotidiani, del lavoro, dei figli, della società che ancora solo a parole le fa uguali agli uomini.
Un ruolo fondamentale nella società e certamente e di gran lunga superiore a quello di quelle povere ragazze che si sono illuse di risolvere il problema della loro vita attraverso il contatto con i potenti, attraverso la loro bellezza e il loro fascino di adolescenti, attraverso l’uso del loro giovane corpo.
Una illusione di breve durata, un sogno presto spezzato ed un SMS di una di esse che dice“mi hai rovinato la vita” lo testimonia in modo inconfondibile.
Sono scese in piazza a centinaia di migliaia, si dice un milione in 253 piazze italiane, ma il loro messaggio è stato volutamente travisato per ordini superiori e menti mediocri si sono subito allineate perdendo la facoltà di discernere tra una segno di protesta e di sdegno per un modo indegno di considerare la donna e per un modo ignobile di fare politica ed una semplice manifestazione antigovernativa.
Le donne scese in piazza sono state tacciate di moralismo, accusate di voler fare un uso politico dell’evento, di essere “radical chic” : una etichetta coniata appositamente per sminuire la manifestazione e gli stessi partecipanti.
"Radical chic è un'espressione idiomatica, mutuata dall'inglese, per definire gli appartenenti alla ricca borghesia che, al fine di seguire la moda del momento, per esibizionismo o per inconfessati interessi personali, ostentano idee anticonformistiche e tendenze politiche fortemente radicali, generalmente avulse o diametralmente opposte ai valori culturali e sociali del ceto di appartenenza. Nell'immaginario popolare tale gruppo si identifica anche per l'esibizione di cultura "alta", per la curata trasandatezza nel vestire e, talora, anche per la ricercatezza in ambito gastronomico e turistico. In genere è una forma di ipocrisia socio-economica, dove "si predica bene e si razzola male".
Chiunque, se non chi è in malafede, può riconoscere in questa definizione quello che si visto in piazza dove di anticonformista, di borghese, di radicale e di esibizionistico c’era ben poco.
C’era invece tanta soddisfazione nel vedere quanta gente aveva risposto all’appello e tanta gioia nell’incontrare gente che non vedevi da tempo; gente con i capelli diventati ormai grigi, che teneva per mano i nipoti, i figli dei figli, a rimarcare gli anni trascorsi e gioiosamente stupirti di averli trovati lì, anche loro in piazza, perché erano rimasti gli stessi di come li ricordavi, con gli stessi principi e lo stesso entusiasmo di un tempo.
O forse le mamme rom venute in piazza per chiedere pari dignità, e la giusta istruzione per il loro bambini, con la loro “trasandatezza nel vestire” hanno ingannato qualche malpensante.
E c’era una richiesta precisa, quella di ridare alla donna la sua dignità di persona, una dignità perduta in un mondo, in una società dove la moralità della vita pubblica è scesa a livelli inimmaginabili, dove la scala dei valori tipici di una società civile è messa fortemente in dubbio.
Le donne in piazza gridavano e manifestavano contro la pratica sempre più comune di usare la bellezza come unico requisito per la carriera politica, di usare il proprio corpo per aprire porte, stabilire contatti, costruire possibilità di soldi e carriera. Per il diffuso maschilismo e la sua distorta ostentazione, per la concezione della donna come semplice oggetto di piacere, per chiedere il loro diritto di pari dignità nel lavoro e nella vita.
E’ vergognoso ed anche inquietante che un popolo debba scendere in piazza per chiedere queste cose talmente banali, questi principi elementari che sono alla base di ogni democrazia che si intenda tale.
Certamente in una donna la bellezza è un valore, ma altrettanti valori, come dice Susanna Camusso, lo sono l’intelligenza, l’onestà, l’impegno, la fatica, lo studio, la partecipazione, la solidarietà. Questi dovrebbero essere i valori fondanti di un paese civile e i criteri selettivi della classe politica e di quella dirigente in una società in buona salute.
Doverli chiedere scendendo in piazza fa pensare ad un pericolo, un pericolo per la stessa democrazia in questo nostro disgraziato paese che va oltre la richiesta della giusta considerazione del ruolo della donna.