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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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. . . mia nonna aveva le ruote era un carretto. La .....
per pubblicare scrivere a spaziodonnarubr@gmail.com
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
di Valdo Mori
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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A cura di Erminio Fonzo
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Domenica 7 Luglio mercatino di Antiqua a San Giuliano T
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
IL PROVERBIO
Al bisogno....

26/3/2011 - 17:18



Il proverbio di oggi:

Al bisogno      
si conosce l’amico!
 
Il modo di dire:
Avere le ruzze.
Avere un comportamento scherzoso, allegro, un po’ sopra le righe.
 
 
Dal libro “Le parole di ieri” di G.Pardini
 
 
PERITARSI
Lett: PERITARE. [Non osare per timidezza].
[Forse originato dal latino pavor pavoritare, temere, avere paura oppure dal latino barbarico pigritari fare il pigro, indugiare ma che poi fu usato nel senso di esitare, stentare a fare qualcosa].
In dialetto si usava la forma riflessiva, peritarsi, che si può tradurre come farsi scrupolo, rimanere sulle proprie, non avere il coraggio ed anche, come dice lo Zingarelli, [non osare per timidezza].
“’Un ti peritare” era un modo comune di dire quando si offriva qualcosa, quando si invitava qualcuno, l’espressione di un’offerta di amicizia o almeno di partecipazione, una forte manifestazione di una solidarietà oggi in progressivo declino.
 
PEZZETTE
Lett: PEZZETTA. [Piccolo pezzo di tela per medicatura].
Fare le pezzette indicava utilizzare proprio un piccolo pezzo di tela per bagnare la fronte a chi era ammalato, quando la febbre era molto alta. Il piccolo pezzo di tessuto veniva bagnato in acqua fredda, strizzato e quindi posato sulla fronte dell’ammalato per dare sollievo e contribuire all’abbassamento della temperatura.
Quando si era scaldato per il contatto con la fronte molto calda l’operazione veniva ripetuta fino ad ottenere un sufficiente sfebbramento.
Pezzette erano anche chiamate quei piccoli pezzi di stoffa che le donne un tempo usavano nei giorni delle mestruazioni (vedi Marchese)
 
PEZZOLA
Lett: PEZZUOLA. [Piccola pezza. Fazzoletto da naso, da sudore, da portare in mano, in tasca].
Prima della comparsa dei fazzoletti di carta usa e getta, la pezzola era presente in tutte le tasche: attorcigliata e spiegazzata in quelle dei contadini ed utilizzata per detergersi il sudore durante e il lavoro nei campi (e talvolta legata attorno al collo come una bandana), ben piegata e stirata invece nelle tasche del vestito buono nei giorni di festa, nel caso di un improvviso ed inatteso eccesso di muco nasale.
Basta osservare le foto dei nostri nonni, se non proprio dei nostri babbi, per renderci conto del cambiamento subito nel modo di vestire degli italiani in questi pochi anni.
Anche i ragazzi, nei giorni di festa, vestivano come gli adulti, con la giacca, la cravatta ed i calzoni con la riga, a volte anche corti. I capelli unti di brillantina con una bella sfumatura alta e le ginocchia quasi sempre sbucciate. Le ginocchia testimoniavano una vita molto diversa da quella dei ragazzi di oggi, una vita vissuta molto di più all’aperto, a più stretto contatto con la natura, con il mondo di fuori e con un modo di giocare più semplice, più povero se si vuole.
La stessa presenza del fiume, oggi quasi ignorato dai ragazzi, a quel tempo era un elemento vitale per i giochi ed i passatempi. Questi erano molto più semplici e spesso legati alla impossibilità delle famiglie di poter spendere denaro per acquistare giocattoli, comunque costosi ed in secondo piano rispetto alle necessità familiari del tempo. Si giocava quindi con i sassi, con le zolle, con i tappini, le palline, le figurine che arrivarono più tardi. Si facevano le strombole con i gommini ritagliati dalle camere d’aria delle biciclette, le spade con le cassette di legno degli spinaci, gli archi con le carcasse degli ombrelli, i fucili a gommini con i manici delle granate. Si giocava a nascondino, alla bella insalatina (ce l’ho fresca e tenerina), e a tanti altri giochi di cui non ricordo il nome che riempivano le nostre giornate senza motorini, telefonini e tennis slacciate.
Fra i giocattoli più curiosi che l’ingegno dei padri con pochi mezzi ma grande fantasia abbia mai realizzato, va senz’altro ricordato il famoso “carrarmato a rocchetto”. Il congegno era realizzato utilizzando appunto il rocchetto che era il supporto di legno su cui erano avvolti i fili da cucito. Un cilindro di legno sottile, cavo, con alle due estremità due sponde di legno per reggere il filo.
 Le due sponde venivano incise con tagli a V per ricavarne due ruote dentate, mentre il motore era dato da una striscia di gomma (della solita camera d’aria), che veniva fatta passare all’interno del
cilindro. Da un lato veniva fissata con un piccolo pezzo di legno messo di traverso (bastava uno stecchino o un fiammifero di legno), dall’altra veniva fissata ad un altro stecchino, ma molto più lungo, passando prima  attraverso una piccola ruota di cera. La rotella di cera veniva realizzata tagliando un pezzo di candela di circa un centimetro e scavando un piccolo foro al centro, per far passare la striscia di gomma. Il sistema era semplice ma molto ingegnoso. Si caricava il gommino facendo girare lo stecchino più grande tenendo contemporaneamente fermo con l’altra mano l’estremità opposta.  Si poggiava poi il carrarmato sul terreno e l’energia accumulata dalla gomma tendeva a far girare lo stecchino più grande. Questo però poggiando a terra, trasferiva tutta la forza alle ruote dentate. L’energia accumulata nella gomma si sarebbe esaurita comunque in un in un unico e vorticoso giro delle ruote se non ci fosse stato l’attrito della rotellina di cera sul rocchetto di legno. Questo attrito faceva sì che che l’energia venisse trasformata in un moto continuo che permetteva al mezzo di procedere per lunghi tratti ed anche, con le ruote dentate, superare piccoli ostacoli tra le grida e l’entusiasmo dei più piccini.

 

PS: Chi sono le signorine?

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Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

3/4/2011 - 22:10

AUTORE:
un suo ammiratore

Quella di sinistra,se non mi sbaglio,è la Meri del Magli,come si usa dire a Migliarino.Bella ragazza allora,splendida signora oggi.