In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Un pesce antimalarico
È noto che le zanzare in genere, e fra queste le Anofeli, trasmettitrici specifiche della malaria umana, compiono il loro ciclo di sviluppo nell’acqua e abbandonano la superficie liquida solo quando assumono la forma di insetti alati.
Mezzi per distruggere le zanzare e le loro larve, ne furono proposti e tentati molti; fra i quali ricorderò, ad esempio, la recente iniziativa americana di allevare pipistrelli, nella speranza di trovare in essi, attivi divoratori di insetti crepuscolari e notturni, un aiuto efficace per la caccia alle alate. L’esperimento fu tentato anche da noi: e a tale scopo, in qualche località della provincia di Taranto e delle Paludi Pontine si costruirono degli appollaiatoi per pipistrelli. Ma le difficoltà incontrate furono molte, e i risultati scarsissimi o nulli; sicché l’esperimento non sembra destinato ad aver seguito.
Molto più facile ed efficace riesce la lotta contro le larve, confinate in ambienti relativamente limitati. Un mezzo distruttivo di cui si è molto parlato già, e in cui si era molto sperato, consiste nella petrolizzazione delle acque zanzarigene (il petrolio forma alla superficie dell’acqua un velo oleoso che impedisce alle larve dl respirare e di nutrirsi). Le speranze furono però in parte deluse, giacché i risultati non corrisposero all’attesa; senza contare che il metodo è assai costoso e che non può esser praticato dappertutto: come, ad esempio, nelle acque che servono ad abbeverare il bestiame.
Di recente scoperta, e assai meno noto, è l’impiego del verde di Parigi, o verde di Schweinfurt, o verde arsenicale (tutti nomi sotto cui va in commercio l’aceto-arsenito di rame). Questa sostanza, che si presenta come una polvere verde, leggera e finissima, è poco costosa e facile da usare. Si può spargerla sull’acqua gettandola a manciate. o meglio spolverizzarla con uno di quei soffietti a mano che i vignaioli usano per solforare la vite.
Essendo leggera e insolubile nell’acqua, forma su di essa un velo superficiale sottilissimo; e le larve degli Anofeli, che assumono il loro nutrimento alla superficie, ingoiano anche i minuti granelli venefici. È per questo che il verde di Parigi riesce letale per gli Anofeli, anche se è usato in dosi piccolissime (un cm. cubo di polvere su 10 mq. di superficie liquida), tali da esser perfettamente innocue per gli altri animali acquatici (crostacei, pesci. rane) nonché per il bestiame che si abbeveri in quei bacini. In Italia diverse campagne antilarvali col verde di Parigi furono condotte in alcune località del Lazio, dell’Istria, nonchè a Portotorres, in Sardegna, e a Bianconovo in Calabria.
I risultati furono ottimi; anche in acque in cui le larve erano protette da folta vegetazione galleggiante e sommersa, la distruzione avvenne in proporzioni variabili fra il 78 e il 99%. Unico inconveniente del metodo è che l’azione del larvicida dura per breve tempo, quindi, per essere efficaci, le spolverizzazioni devono essere ripetute spessissimo, il che richiede una mano d’opera non indifferente e sembra addirittura impraticabile nelle località con acquitrini numerosi, sparsi in vasti tratti di terreno. Su ciò, tuttavia, non è ancor detta l’ultima parola, essendo in corso degli esperimenti per spargere la polvere mediante aeroplani, analogamente a quanto si fa in America, per ispargere l’arsenito di calce sulle vaste piantagioni di cotone.
Altro metodo di lotta antilarvale è quello che si giova, anzichè di sostanze tossiche, di mezzi biologici e più precisamente di nemici naturali delle larve. L’idea non è recente, e, anche in Italia, ebbe già molti sostenitori, che proposero diversi animali acquatici, fra i quali, principalmente, molti pesci nostrali ed esotici. Da principio si diede la preferenza a pesci commestibili, quali la Carpa, la Tinca, l’Anguilla. ecc., nella speranza di ottenerne un doppio vantaggio: la distruzione delle larve e la produzione delle carni: di poi furono proposti e vantati altri pesci, fra i quali ricordo Eupomotis, Cyprinodons, Mugil, Atherina, ecc.
Qualcuno di essi incontrò anche favore, come la Carpa nelle risaie dell’Italia settentrionale; ma, dal punto di vista antimalarico, nessuno diede i risultati brillanti che se ne erano sperati; un po’ perché le specie suddette sono onnivore (le larve di zanzare rappresentano una piccola parte del cibo assunto - e conseguentemente la distruzione ne è limitatissima); e molto perchè, trattandosi per buona parte di pesci commestibili, sono vittime della pesca, e quindi soggetti essi medesimi a forte distruzione. Occorreva dunque trovare un pesce che si dimostrasse anzitutto adatto a vivere nelle acque zanzarigene; che fosse insettivoro, e cercasse il suo cibo di preferenza verso la superficie (dove appunto vivono larve e ninfe degli Anofeli); e che mancasse totalmente di valore gastronomico.
I biologi americani ebbero la fortuna di scoprire tutte queste doti preziose in un pesciolino, diffuso nella vallata del Mississippì e lungo il versante Atlantico da Delaware al Messico. Il suo nome generico è Gambusia (forse derivato dal cubano gambusina che significa: cosa di nessuna importanza); ma comunemente è detto Top Minnow, per indicare la sua abitudine di venire spesso alla superficie dell’acqua.
Le dimensioni di questo vivace pesciolino sono assai piccole; le femmine raramente superano i 45 mm. di lunghezza, e i maschi i 25 mm.
Quando sono adulti, i maschi si distinguono dalle femmine per la forma della pinna anale, provvista di un lungo e acuto processo.
(la scrittrice dell'articolo non scende in particolari e non dice che la pinna diviene l'organo copulatore. ndr.)
La Gambusia è vivipara, ossia partorisce figli vivi, in numero variabile da 2 a 60 per volta, e le generazioni possono essere fino a 6 e più durante un solo anno. In breve tempo le Gambusie si sono affermate quasi dappertutto in America, come preziosi ausiliari nella lotta contro le zanzare. Del resto nelle Isole Barbados già da tempo era conosciuto come divoratore di larve di zanzare il Lebistes reticulatus o Pesce milione, al quale si attribuisce il merito di aver contribuito efficacemente a liberare quelle isole dalla malaria; nella Malesia e nella Guiana inglese gli indigeni usano allevare diversi pesciolini nelle raccolte d’acqua per uso domestico (tinozze, vasche e cisterne) per impedire lo sviluppo delle zanzare.
La prima idea di introdurre in Italia la Gambusia, si deve a S. M. il Re, il quale desiderò che i competenti si adoperassero per ottenere dall’America una spedizione di Gambusie. Dopo qualche tentativo, frustrato dalla lunghezza e dalle difficoltà del viaggio, nel 1922 giunsero a Roma alcune centinaia di pesciolini, che furono subito seminati in varie località zanzarigene della Campagna Romana. L’attecchimento della specie, nelle acque dell’Italia Centrale, fu prontissimo e soddisfacente; a quanto si afferma da diversi osservatori, la riproduzione è ancor più attiva ed abbondante nei nostri climi che non in America, avendosi da noi già nel mese di marzo le prime nascite, mentre in America la prima generazione compare in maggio. Nel corso dell’ estate le generazioni si ripetono più volte, sicché s’intende come bastino poche femmine gravide per popolare rapidamente vaste distese d’acqua. Delle attitudini delle Gambusie a divorare larve fanno fede tanto esperienze di laboratorio, quanto osservazioni in natura. In vasca o in acquario, una femmina di medie dimensioni è capace di divorare circa 150 larve di Anofeli in un sol giorno; ed i piccoli, nati da poche ore, catturano già larve lunghe all’incirca una metà del proprio corpo.
Naturalmente le Gambusie non rifiutano altre larve, od insetti, od anche frammenti vegetali — in mancanza d’altro, non risparmia no nemmeno la propria prole! — ma, avendo l’abitudine di cercare il cibo presso la superficie dell’acqua — dove appunto si tengono di preferenza le larve e ninfe degli Anofeli — ne consegue che, anche in natura, tali larve costituiscono la parte preponderante dell’alimentazione della Gambusia; e quindi subiscono una distruzione considerevolissima, dappertutto dove la vegetazione non è troppo fitta.
Si constatò in vari casi che l’opera antilarvale della Gambusia può riuscire veramente efficace; tanto che, in Italia, questo pesciolino ha ormai raggiunto una grande diffusione, e la Sanità l’ha ufficialmente assunto come pesce antimalarico.
Il primo e più vasto campo di esperienze in proposito è stato ed è l’Agro Romano e Pontino, dove, grazie all’ abbondante moltiplicazione delle Gambusie importate nel 1922, non solo si sono impesciati quasi tutti i bacini e corsi d’acqua, ma si sono anche creati veri e propri vivai di rifornimento. In alcune acque i risultati ottenuti furono soddisfacentissimi; e ricorderò in proposito la osservazione fatta dall’illustre e compianto prof. Grassi nel Lago di Porto (Traiano). In questo bacino le Gambusie erano state seminate nel luglio 1922: orbene, mentre nell’aprile 1921 e 22, nell’acqua bassa lungo le sponde formicolavano a migliaia le larve di Anofeli, alla stessa epoca negli anni successivi le larve erano rarissime, mentre sciami di pesciolini davano loro una attivissima caccia. Anche nei molti canali di bonifica della campagna romana le Gambusie si sono acclimatate benissimo, e il contributo da esse recato alla disanofelizzazione è tutt’altro che indifferente.
Altra particolarità che in alcuni luoghi rende preziosa la Gambusia, è la sua capacità di vivere in acque salmastre o salate, sopportando concentrazioni del 2% e più di cloruro sodico. Ma forse l’esempio più probante della capacità larvifaga della Gambusia è dato dagli esperimenti compiuti nelle campagne di Rovigno d’Istria. In questa regione, di tipo prettamente carsico, le acque piovane sono subito inghiottite dalle doline e dalle fenditure delle rocce; talchè i contadini, per provvedersi di riserve di acqua per uso agricolo, devono scavare piccole conche dove la roccia è compatta, o dove si trova qualche lente argillosa, perché vi sa raccolga l’acqua piovana.
Questi numerosissimi piccoli stagni — detti localmente lokva — sono i veri focolai malarici della regione, e particolarmente dannosi perchè situati sempre in vicinanza dell’abitato. In questa zona venne iniziata, pochi anni fa, una campagna antimalarica basata sulla distruzione delle zanzare; e, in alcune località, affidata esclusivamente all’opera larvifaga delle Gambusie. La semina dei pesci fu fatta in primavera; e, in qualche bacino, rinforzata o ripetuta in autunno. Nell’inverno molti laghetti furono, per qualche giorno. coperti di ghiaccio; ma, al riaprirsi della stagione, le Gambusie ricomparvero, numerose e vivaci, quasi dappertutto. Nell’estate successiva, durante tutti i mesi favorevoli allo sviluppo degli Anofeli, gli stagni furono periodicamente esaminati per constatare la presenza di larve. I risultati furono buoni; poiché se, in primavera, quando le Gambusie che hanno svernato sono ancora un po’ torpide, si trovaron larve in alcune lokve, il numero di esse diminuì rapidamente coll’avanzare della stagione, e si ridusse a zero in piena estate, appunto nel tempo in cui le zanzare, d’abitudine, sono più numerose e moleste.
Il brillante successo delle Gambusie in Istria, non ci autorizza tuttavia a credere che si sia trovato un così facile tocca e sana per tutti i paesi malarici. Le condizioni idrologiche dell’Istria, particolarmente favorevoli ad una lotta antilarvale, non si ritrovano dappertutto: e altrove molti ostacoli sorgono ad intralciare l’opera del prezioso pesciolino: in certi bacini le Gambusie non attecchiscono perchè insidiate da troppi nemici: pesci predatori, innanzitutto (perche e lucci), e poi uccelli acquatici, e rane e testuggini, e bisce acquaiole.
Altrove è l’eccessiva rigidezza del clima invernale, che decima le schiere dei pesciolini, lasciando le acque indifese all’aprirsi della primavera, quando già si sviluppano le prime generazioni di zanzare. Nelle regioni piovose e paludose, poi, dove le raccolte idriche sono di estensione variabile e molto frazionate, è facilissima la formazione di pozzanghere isolate, a cui le Gambusie non possono accedere, mentre le zanzare vi prosperano e formicolano a milioni. Bastano poche di queste pozze, anche temporanee, per mantenere vivo l’anofelismo di tutta una regione. Devo infine ricordare che l’acclimatazione di questo fecondissimo pesce nelle nostre acque non è stata accolta con ugual favore da tutti gli ittiologi e biologi. Alcune voci di allarme si son già levate, a segnalare il pericolo che la Gambusia, grazie alla sua grande prolificità, possa moltiplicarsi a tal punto da estinguere o impoverire specie nostrali commestibili, e quindi utili, recando così un danno generale, in cambio di qualche vantaggio locale.
In ogni modo, da quanto ho detto - meriti e manchevolezze, fas et nefas - dei metodi di lotta antilarvale, è facile ricavare la conclusione che, salvo in casi speciali, essi non possono costituire dappertutto una difesa valida e completa contro il grave flagello.
Tuttavia, poiché come ausiliari delle altre e più importanti difese, si sono dimostrati sempre efficaci, è giusto che il pubblico conosca ed apprezzi anche le opere minori, e sappia di quanto studio, di quanta tenacia, di quanti sacrifici esse sono il frutto.
Sicchè, nel quadro grandioso delle opere e delle previdenze per cui intere regioni, da secoli incolte e deserte, rinasceranno a florida vita, un piccolo posto sia fatto anche a questi modesti e pur preziosa alleati.
Paola Manfredi