Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose.
Prima di amarli i grandi scrittori si temono un po’ e non si ha il coraggio di offrirgli un caffè
Credo di non essere stato il solo martedì sera, nella sala del teatro del popolo di Migliarino, ad essermi vantato, qualche volta nella vita, di conoscere Antonio Tabucchi per il solo fatto che è di Vecchiano. Però in me c’è l’aggravante che in realtà non lo conosco come persona, ma solo attraverso i suoi libri e i rari incontri pubblici.
Mi dispiace non ricordare il momento in cui ho stretto per la prima volta la mano ad Antonio Tabucchi. Deve essere stato in occasione di una presentazione di un suo libro. Non ricordo quale. Ma solo in quelle occasioni trovo il coraggio di fare “il rompiscatole” e avvicinarmi per un saluto. Ho trovato una dedica del dicembre ’99 su un libro importante di Tabucchi che “casualmente” mi ero portato dietro in quell’occasione: “Il gioco del rovescio”. Lo lessi appena uscì, nel 1981, e ne rimasi folgorato.
Nei primi anni ’80 Tabucchi era “uno scrittore inquieto e sconosciuto”. Lo vidi per la prima volta molti anni fa, in un bar in piazza a San Giuliano. Arrivai da Pisa in Vespa. Restai a guardarlo a distanza, poi entrai nel bar con l’intenzione di offrirgli un caffè. Tabucchi era nel bar davanti alle Terme in compagnia di una bella donna. Era proprio una mattina magnifica di luglio, il sole “sfavillava” e soffiava una brezza leggera e gradevole sopra i volti delle persone. Dico alla barista: “Vedi Tabucchi, è un grande scrittore”. La barista aveva un’espressione incredula. “Hai presente Italo Calvino? Beh siamo lì”, dissi sperando di convincerla. “Vorrei offrirgli un caffè senza che se ne accorga. Tu vai là e quando prende il portafoglio in mano lo sorprendi e gli dici: il caffè le è stato offerto”. La barista mi guarda e mi fa: “Calvino? No, non lo conosco. Ma quel signore ha già pagato”. In realtà temevo Tabucchi. Succede che di certi scrittori si ha soggezione per la vastità dei loro scritti, per la profondità del loro punto di vista e non si trova il coraggio di offrirgli un caffè.
Molti anni dopo sono davanti alle scale del Circolo Arci di Migliarino. Arriva Tabucchi. Saluta amici, stringe molte mani, scambia parole e gesti affettuosi. È affabile, sorridente. Mi avvicino. Gli stringo la mano anch’io. Mi dice: “So che stasera mi presenti tu”. Sorrido con lui. Volevo rinunciare, dall’emozione non ho dormito tutta la notte. Ormai ci sono. La sala del teatro è affollata. Ci sediamo: sul tavolo c’è un bel cesto bianco di patate, rosso di fragole, verde di baccelli e un vassoio di rose rosse preparati dall’amico Bruno per Antonio, che posa sul tavolo "Il tempo invecchia in fretta" pieno di segnalibri. Prendo la parola per pochi minuti solo per dire che, prima di amarlo, un grande scrittore si teme un po’, così come capita con una donna che scegli come compagna della tua vita.
Attacca Tabucchi, prima in “vecchianese”, poi in italiano: “È un piacere e un onore accettare l'invito di questo circolo culturale. Con piacere vedo la bandiera italiana. L’Elogio della letteratura lo dedico al compleanno dell’Italia. La mia patria è la lingua italiana”. E verso la fine, sollecitato da una domanda di elogio a Pereira, dice: “L’eroismo è la vita di tutti i giorni, il maggior impegno è fare il proprio dovere”. È anche per questo suo semplice modo di comportarsi che si ama un grande scrittore. Alla fine la fila per un altro saluto, una dedica personale sulla prima pagina del suo ultimo libro. Ci sono sere bellissime, penso. “E in quel momento mi trovai in un altro sogno”. Così finisce “Il gioco del rovescio”. A me va bene anche di fianco, per una sera, ma non me lo merito.